La nuova class action secondo Alfonso Bonafede

L’avvocato, ed ex ministro promotore della riforma della materia del 2019, analizza la nuova disciplina sull’azione rappresentativa, tra occasioni perse e novità: come il third party funding

di giuseppe salemme

Il 25 giugno 2023 entrerà in vigore una nuova normativa italiana sulla cosiddetta azione rappresentativa (o, più comunemente, azione di classe o class action), e cioè sul rimedio giurisdizionale che permette a più soggetti appartenenti a una stessa categoria (la “classe”, appunto) di far valere un loro diritto o interesse comune. La disciplina in questione, contenuta nel decreto legislativo n. 28 del 10 marzo 2023, va a modificare il nostro codice del consumo ed è di derivazione europea: dopo la vicenda “dieselgate”, il legislatore dell’Unione, con la direttiva 2020/1828, si è deciso a obbligare tutti i Paesi membri a creare una strada per permettere alle vittime di pratiche commerciali sleali, siano esse persone fisiche o giuridiche, di ottenere collettivamente giustizia; sia per questioni interne ai confini del singolo Stato (azione rappresentativa nazionale), sia nei casi in cui le controparti risiedono in Paesi UE diversi (azione rappresentativa transfrontaliera).

Qualcuno, a questo punto, potrebbe avere un déjà vu. Perché in effetti una riforma della class action l’Italia l’aveva già varata: la legge 31/2019 (che raccoglieva lo spunto offerto dalla raccomandazione 2013/369/UE), approvata durante il governo Conte-1 e sostenuta dall’allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede (nella foto a sinistra), è entrata in vigore il 19 maggio 2021.

Ne parlammo approfonditamente anche su MAG: di fatto, con la legge 31 la class action aumentava la sua portata, spostandosi dal codice del consumo a quello di procedura civile e aprendosi alle imprese e ai lavoratori; consentiva ai soggetti lesi di unirsi all’azione in due diverse finestre di opt-in; prevedeva come centrale la figura del rappresentante comune degli aderenti alla class action; e istituiva una piattaforma telematica unica per la pubblicità e l’eventuale adesione alle azioni in corso. Attirò anche parecchie critiche: in particolare, le associazioni dei consumatori lamentarono la mancata previsione di un regime a loro dedicato; mentre le aziende criticarono soprattutto il “late opt-in” (l’adesione all’azione dopo la sentenza), che rendeva difficoltoso predeterminare il valore della controversia.

Cosa comporterà questo rapido avvicendamento tra le due discipline, sempre che di vero avvicendamento si possa parlare? MAG ha voluto discuterne proprio con l’ex ministro Bonafede, ora tornato alla professione nello studio che porta il suo nome, e con il collega e of counsel dello studio Fabio De Dominicis (nella foto a destra), che coltiva la materia anche in ambito accademico.

TROPPE LEGGI

«L’Italia, con gli articoli 140bis e seguenti del codice del consumo, ha una normativa sulla class action dal 2010», spiega l’avvocato Bonafede. «Ma in concreto era stata utilizzata pochissimo, sia per i rigidi paletti posti dalla normativa, sia probabilmente per le resistenze culturali degli addetti ai lavori. I numeri dicono tutto: nei primi 10 anni di operatività, su 65 azioni di classe incardinate solo 20 avevano superato il filtro di ammissibilità e solo 7 sono arrivate a una sentenza di merito». La legge 31 ha provato, come detto, a espandere il raggio dell’azione di classe, spostandola nel codice di rito, all’articolo 840bis e seguenti; ma, ancora prima della sua entrata in vigore, è stata “superata” dalla nuova direttiva europea. Il cui approccio “verticale” tuttavia, secondo Bonafede, non ha permesso di semplificare il quadro normativo già esistente, e rischia di suscitare dubbi interpretativi: «L’impulso europeo era senz’altro condivisibile» chiarisce l’ex ministro. «L’azione transfrontaliera, l’apertura al third party funding, la conferma dell’ampliamento dei possibili legittimati passivi sono aspetti interessanti del decreto legislativo di recepimento. Che però ha perso l’occasione di intervenire chirurgicamente sulla disciplina già presente nel codice di procedura civile, ritornando ad agire sul codice del consumo e creando dunque un doppio binario che metterà magistrati, avvocati e associazioni di fronte a continui problemi di coordinamento tra le due discipline». Che in realtà, a ben vedere, sono addirittura tre…

L’articolo completo è stato pubblicato sul numero 199 di MAG. Clicca qui per scaricarlo gratuitamente in PDF e continuare a leggere.

redazione@lcpublishinggroup.it

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