Ipo, i mercati guardano al post-Covid

E’ il barometro dello stato di salute dei mercati. Anzi, è una sorta di sfera di cristallo: per motivi insondabili e un po’ mistici – o per il principio keynesiano delle self-fulfilling expectations – anticipano gli orientamenti delle borse. Sono le operazioni di equity capital markets, in particolar modo le ipo, le quotazioni primarie sui mercati azionari. E il fatto che nel 2020, annus horribilis della pandemia da coronavirus Covid-19, le quotazioni ci siano state e altre siano in cantiere, lascia ben sperare per il futuro. Perché i mercati guardano avanti.

Le ipo sono processi che, guardando all’Italia e mercato principale (Mta), comportano mesi di lavoro preparatorio e che possono sfumare perché, banalmente, le borse cambiano direzione all’improvviso, spesso nell’arco di poche settimane o persino di pochi giorni. E allora, l’azionista dell’azienda che vorrebbe approdare a Piazza Affari si trova di fronte al dilemma: accetto una valutazione inferiore alle aspettative o rinvio a tempi migliori? Perché le finestre buone per le ipo sono strette: febbraio-giugno (con una possibile coda nella prima metà di luglio), settembre inoltrato-metà novembre. Bisogna sperare in un allineamento dei pianeti, ovvero che le borse non vivano una fase di volatilità elevata, che gli investitori abbiano appetito di asset rischiosi, che il contesto economico e geopolitico non sia apertamente ostile e che il business specifico in cui opera la candidata alla quotazione sia appealing, in termini assoluti o relativi. Cosa vuol dire? Tendenzialmente, se parliamo del nostro Paese, le aziende che operano nei settori tipici del made Italy (fashion, food, design, arredamento, yachting, lusso nelle varie declinazioni) piacciono, soprattutto agli investitori esteri. Ma può capitare che proprio questi settori vivano una situazione contingente di sofferenza. Oppure che la nicchia specifica in cui opera la quotanda attraversi una fase di difficoltà…

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