In-formazione e la sfida della sostenibilità sociale

di michela cannovale

Roberto Isibor, co-founder dell’associazione In-formazione e associate di Hogan Lovells, mi raggiunge nelle sale di registrazione di Diverso sarà lei insieme a Martina Giacobbe, associate per Baker McKenzie e che per Baker fa da referente per In-formazione, e insieme parliamo di multiculturalismo. Non è un caso che parliamo proprio di questo, perché In-formazione sviluppa progetti di sostenibilità sociale legati alla formazione, al mentoring e al coaching delle nuove generazioni che, tra le altre cose, vogliono praticare la professione forense. Secondo Roberto e Martina, se gli studi legali in Italia fossero più multiculturali al loro interno, con avvocati con background diversi, riuscirebbero riempire quel gap che manca loro per rappresentare al meglio tutte le diversità presenti nel mercato. Se fossero più multiculturali, poi, mi dice Roberto, «non mi sentirei più l’unico nero nella stanza».

Mentre riascolto l’audio delle nostre voci rifletto sulla sottile differenza che esiste fra il concetto di pari opportunità e quello di diversità. Il primo è strettamente legato a quel principio giuridico, valido in tutta l’Unione Europea, in base a cui deve essere garantita l’assenza di ostacoli alla partecipazione economica, politica e sociale di un qualsiasi individuo per ragioni connesse a genere, religione, origine etnica, disabilità, età, orientamento sessuale o politico. Tutti, insomma, dovrebbero poter avere le stesse possibilità nel mercato del lavoro.

Nessuno si stupirà, comunque, se scrivo che questo tipo di società non è quella in cui viviamo oggi. Che non è vero che a un annuncio di lavoro pubblicato sul giornale (scusatemi se sono una boomer) segue generalmente un processo di selezione perfettamente equo, in cui non si tiene conto del sesso, genere, colore e provenienza dei candidati. Il cosiddetto MBEB (Maschio Bianco Etero Basic), signore e signori, vince ancora su tutti.

Alcuni datori di lavoro, sempre più numerosi, credono tuttavia che la propria azienda debba davvero rappresentare al meglio i fruitori del prodotto o servizio che offre. E lo credono non soltanto perché sentono di avere il dovere morale di garantire a tutti i membri della comunità le stesse possibilità, ma anche perché sono convinti che, se non sfruttassero le conoscenze e le preferenze di persone con genere e colori diversi, perderebbero idee preziose per rendere il loro business un business di successo. Per rendere il loro studio legale, appunto, realmente rappresentativo della società.

È qui che entra in gioco il concetto di “diversità”. Mentre le pari opportunità si concentrano sulle possibilità e sul processo di candidatura, la diversità guarda ai risultati.

Buon ascolto a tutti!

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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