In arrivo la prima legge italiana sulle lobby
di giuseppe salemme
Il 12 gennaio 2022 la Camera ha dato il primo sì alla legge che regola l’attività di lobbying in Italia. Una data importante, che diventerebbe addirittura storica qualora il Senato dovesse confermare l’ok dei deputati: il nostro Paese è rimasto tra i pochi in Europa a non aver mai regolamentato l’azione dei “rappresentanti di interessi” nell’ambito dei processi decisionali delle istituzioni.
C’è un perché. L’argomento lobby non ha mai cessato di essere divisivo, nonostante le prime istanze regolatorie nel nostro paese risalgano addirittura agli anni ‘70. Delle 96 proposte di legge tese a dare alle lobby una qualche cornice giuridica, in quasi cinquant’anni nessuna ha mai trovato il necessario consenso tra le forze politiche. Lo stesso testo appena approvato dai deputati ha impiegato quasi due anni a giungere in aula.
LOBBY BUONE…
Se questo piccolo, parziale traguardo è stato raggiunto, lo si deve soprattutto a quelle organizzazioni che da anni si muovono affinché l’interesse collettivo ad una partecipazione trasparente ai processi decisionali democratici venga riconosciuto e tutelato. Una di queste è The Good Lobby (di cui avevamo parlato sul numero 82 di MAG), associazione no profit attiva in più paesi europei, che dal 2018 si è specializzata appunto nel “lobbying per buone cause”, con l’obiettivo di «demistificare e democratizzare» l’attività di lobbying, ripulendola dalle connotazioni negative con cui spesso è esclusivamente identificata, e promuovendola come un processo teso a influenzare le decisioni pubbliche «per proteggere il bene comune e gli interessi di tutti».
«È da diversi anni che abbiamo avviato una campagna per avere una legge sul lobbismo», racconta Federico Anghelé, direttore dell’ufficio italiano di The Good Lobby. Molte le iniziative promosse negli anni, tra cui «una petizione che ha raccolto finora 18mila firme; una coalizione di 34 organizzazioni no-profit favorevoli alla regolamentazione del loro ruolo come parte del funzionamento delle istituzioni. Nella scorsa legislatura avevamo anche coinvolto alcuni parlamentari nel tentativo di includere una regolamentazione del lobbying nel ddl sulla concorrenza», spiega Anghelè. C’è dunque soddisfazione per essere arrivati alla discussione e all’approvazione di un primo testo sul tema: «Già nelle sue premesse si avverte uno scarto culturale rispetto al passato nel riconoscere il fenomeno della rappresentanza di interessi come strumento di partecipazione ai processi democratici». Per Anghelè, gli aspetti positivi della proposta di legge appena passata alla Camera sono molti: «Il registro per la trasparenza, l’agenda degli incontri, l’apertura (per quanto non tassativa) alle consultazioni. La visione del provvedimento è coerente. Il problema è che mancano alcune cose.»
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Già, perché nonostante l’entusiasmo per il primo ok al ddl, il lavoro di The Good Lobby proseguirà al Senato per “depurarlo” da alcune mancanze e contraddizioni. Il principale problema è quello relativo alle esclusioni: allo stato attuale, sarebbero escluse dalla definizione di rappresentanti di interessi entità come confessioni religiose, sindacati e organizzazioni di rappresentanza datoriale (essenzialmente Confindustria). Un’esclusione talvolta giustificata con l’esigenza di non appesantire le attività di concertazione con le istituzioni svolte da questi soggetti. Ma Anghelé sostiene che «il testo, già nella sua prima versione, escludeva esplicitamente le attività concertate. Quindi la spiegazione non è valida».
L’evitare che alcuni rappresentanti di interessi “istituzionali” possano risultare esclusi dalla disciplina sulle lobby sarà dunque la priorità assoluta nel prosieguo dell’iter legislativo. Il perché lo spiega Alberto Alemanno, fondatore di The Good Lobby e direttore dell’ufficio di Bruxelles: «La proposta italiana si discosta fortemente dagli standard di riferimento dettati dall’Ocse nel 2012 per questo tipo di regolamentazioni. Per quanto il già citato “registro trasparenza” corrisponda effettivamente allo standard internazionale, il suo ambito di applicazione limitato fa sì che, se lo scopo della disciplina è permettere ai cittadini di monitorare chi sta influendo maggiormente sulle decisioni pubbliche, questo non sarà possibile: perché il rapporto dei soggetti esclusi con i decisori pubblici continuerà a essere una scatola nera». Si potrebbe addirittura sostenere, secondo Alemanno, che una…
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