IMPRENDITORI LEGALI O SEMPLICI BOTTEGAI?

di nicola di molfetta

Quante volte avete sentito l’espressione «fare squadra». Per uno studio legale associato dovrebbe essere la regola. L’essenza stessa della partnership. Ma sempre più spesso capita di osservare che quello che potrebbe sembrare più che ovvio, in realtà è tutt’altro che scontato.

Ciò che appare paradossale è che l’esasperato individualismo che affligge molte associazioni colpisce non solo partner di lunga data con rapporti interpersonali logorati da una frequentazione che si è fatta monotona e stantia, ma anche soci che hanno appena siglato un patto di collaborazione e che dovrebbero essere nella fase più entusiasmante della loro partnership, quella in cui si fanno progetti e si è convinti di poter conquistare il mondo.

Colpisce che sempre più spesso, i rapporti tra soci di uno stesso studio siano rappresentati da dinamiche conflittuali, gelosie e contrasti che li rendono (uno per l’altro) il primo concorrente ovvero il primo ostacolo all’affermazione dello studio sul mercato. La difficoltà con cui all’interno di alcune realtà si accetta e si celebra il successo di un collega la dice lunga su quale possa essere la forza sinergica di un’associazione costruita probabilmente solo per aggregare pezzi di fatturato ma senza la condivisione di un progetto professionale comune e quella fondamentale dose di complicità che fa la differenza tra una squadra vincente e un’accozzaglia di avvocati più simili all’armata Brancaleone.

Sentir dire, come capita, che «l’unico motivo per cui ha senso stare in associazione con altri è l’anticipo di cassa che lo studio garantisce» è la prova che molte realtà hanno ancora un lungo percorso da compiere prima di potersi dire davvero una partnership. Un percorso che deve cominciare dalla selezione degli avvocati chiamati a condividere l’equity.

Una cattiva gestione dell’associazione, infatti, rischia di creare una organizzazione debole, incapace di reggere l’urto delle crisi che (inevitabilmente) ci saranno e l’eco di successi che un nuovo socio potrebbe ottenere mettendo a disagio colleghi poco “attaccati alla maglia”. Chi teme di essere messo in ombra dalla crescita di un proprio socio non può avere l’ambizione di guidare uno studio legale. Chi gestisce un’associazione solo per massaggiare il proprio ego, non può considerarsi un imprenditore professionale e forse dovrebbe pensare a una nobile carriera, da solo, in bottega.

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