Il pesce d’aprile timbra il cartellino, gli avvocati no
Che dire, in tanti l’hanno capito quasi subito. E in tanti altri hanno sperato che il ballon d’essai fosse qualcosa di più che un pesce d’aprile. Purtroppo così non è. Per gli avvocati collaboratori degli studi associati, per ora, non c’è possibilità di diventare dipendenti. Anche se il dibattito scatenato sui social e nei commenti dall’articolo-scherzo di legalcommunity.it, dimostra che il tema è reale e attuale più che mai.
La questione della regolamentazione dei rapporti tra studi legali associati e collaboratori è un nodo che prima o poi la professione, le sue istituzioni e il legislatore dovranno affrontare di petto. Infatti, c’è la crescente necessità di non lasciare al “fai da te” la gestione di veri e propri rapporti di lavoro continuativi. In molti casi, queste relazioni professionali vengono gestite con grande correttezza. In tanti altri, però, sono totalmente in balìa degli umori e delle intuizioni più o meno felici dei dominus di strutture cresciute in termini di dimensioni ma senza un briciolo di linee guida sul versante della governance.
La crisi di questi ultimi anni ha messo in evidenza tutti i limiti e i rischi di questa situazione. Nell’anno più nero, il 2012, sono stati oltre 500 i legali, collaboratori dei primi 50 studi associati attivi in Italia, che sono stati lasciati a casa dall’oggi al domani a causa della congiuntura negativa.
La legislazione italiana sulla professione forense si occupa in modo blando della questione dei collaboratori. Gli avvocati sono considerati sempre e comunque nella loro condizione di liberi professionisti. Indipendenti. Imprenditori di loro stessi. Ma oggigiorno questo tipo di concezione della professione è inadeguato rispetto a una realtà di mercato a dir poco variegata e in cui i rapporti di collaborazione, tali per cui il cliente di un avvocato, spesso, è solo lo studio legale di riferimento, sono sempre più numerosi: parliamo di circa 5.000 avvocati-collaboratori solo nei primi 100 studi legali italiani.
Molte associazioni forensi, come l’Aiga, hanno tentato in diverse occasioni di affrontare la questione e di sottoporla all’attenzione del legislatore. Ma finora, con pochi riscontri. Chissà se un pesce d’aprile, arrivato puntuale anche quest’anno a timbrare il cartellino della goliardia, riuscirà a dare la scossa.