Il mercato legale e i giovani: un report di Elsa
di giuseppe salemme
Se esiste, nel 2021, qualcosa che accomuna la gran parte dei giovani giuristi italiani nel momento in cui termina il percorso universitario, questo qualcosa è la confusione. Non su quanto studiato, ma sul futuro: sugli obiettivi percorribili nella vita professionale, e in particolare sui modi migliori per raggiungerli.
Il report pubblicato da ELSA Italia, l’associazione degli studenti di giurisprudenza europei, a conclusione del National Career Fair 2021, ha dato ulteriore sostanza, dati alla mano, a questo assunto. Oltre 150 intervistati tra studenti, neolaureati e praticanti hanno offerto la loro preziosa testimonianza sull’attitudine con cui si approcciano al mercato professionale che li vedrà presto protagonisti.
NUOVE AREE DI ATTIVITÀ
Nello scenario descritto dai dati permane senz’altro, come trait-d’union generale, una certa distanza tra gli studenti e le figure emergenti nel mercato della professione legale. Nel campione selezionato da ELSA Italia, ad esempio, molti dei giovani giuristi non hanno la necessaria familiarità con figure nuove ed emergenti come quelle del “fashion lawyer”, o dell’avvocato specializzato in ambito tech: gli intervistati vanno “a braccio” quando gli si chiede quali sono le skill richieste a un avvocato specializzato nel campo della moda, e il 30,9% non sa indicarne nemmeno una. Tutti gli intervistati concordano sul fatto che le università non offrano attualmente agli studenti di giurisprudenza adeguate competenze informatiche: il 45,5% sostiene che in alcune facoltà siano in corso degli upgrade in tal senso; il 9,1% ammette che l’ambito tech è curato soltanto post-laurea.

La consapevolezza dei giovani giuristi non migliora neppure in riferimento alle figure del data protection officer, altro campo in cui la formazione è interamente demandata a specifici corsi post-laurea, o per quella del giurista d’impresa, su cui permangono dubbi: gli intervistati, ad esempio, si dividono tra chi crede che l’iscrizione all’albo degli avvocati sia un plus per chi lavora in azienda (60,3%) e chi crede che il titolo di avvocato debba essere esclusivo nei confronti di incarichi inhouse.
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