Il diritto penale dell’economia a trent’anni da Mani pulite
di guido stampanoni bassi*
Ricorre in questi giorni il trentennale di Mani pulite, senza ombra di dubbio una delle inchieste giudiziarie che, più di altre, hanno cambiato il volto del diritto penale, per non parlare – ma è tema noto – degli avvenimenti politici del nostro paese negli anni a venire.

Per ricordarlo – e per chiedersi, in particolare, in che modo quella stagione abbia influito sullo sviluppo di quella particolare branca del diritto penale che è il diritto penale dell’economia (nata, come è noto, ben prima di Tangentopoli) – mi pare interessante passare idealmente, e molto brevemente, in rassegna la storia degli ultimi 40 anni del diritto penale societario attraverso le parole di tre illustri giuristi: i professori Giovanni Maria Flick, Paola Severino e il compianto Filippo Sgubbi.
Prima tappa attraverso cui si può tentare di comprendere come il nostro diritto penale abbia attraversato gli anni di Tangentopoli sono le parole utilizzate nel 1983, dunque circa dieci anni prima, da Flick (poi diventato prima giudice e poi Presidente della Corte Costituzionale), nel suo articolo “Problemi attuali e profili costituzionali nel diritto penale d’impresa”.
Nello scritto, dopo aver ricordato come una delle istanze all’epoca più avvertite circa l’approccio al tema della criminalità di impresa fosse quella di un «più accentuato, più incisivo e più penetrante intervento del diritto penale e dei suoi strumenti di controllo», il professore ricollegava tale domanda a una motivazione “tipicamente ideologica”, da ravvisarsi nella «reazione, a ben vedere polemica, ad una tradizionale immunità, effettiva o presunta, riconosciuta alla criminalità dei colletti bianchi».

Il giudizio dato quasi 40 anni fa circa le chance di intervento del diritto penale nel contesto economico dell’epoca era, per stessa ammissione dell’Autore, “negativo e pessimistico”, apparendo il sistema già al tempo inadeguato (inadeguatezza che non deve essere intesa come pretesa di “più penale”) sotto diversi punti di vista: da quello sistematico a quello sostanziale, passando per quello sanzionatorio. Per questo, si suggeriva di «porre mano all’attuazione di un sistema di controllo penale, il quale sia realmente efficiente rispetto ai risultati che con esso si intendono raggiungere: un sistema di controllo penale che non sia viziato né per difetto, né per eccesso, sia nelle sue scelte di contenuto, sia nei suoi strumenti normativi, sia in quelli sanzionatori, sia infine nelle modalità di applicazione».
La seconda tappa attraverso cui verificare se e come tali (lungimiranti) osservazioni sugli strumenti di contrasto alla criminalità di impresa siano poi state recepite – nonché per rendersi conto di quali siano stati gli effetti di Tangentopoli – sono le considerazioni espresse da Paola Severino a vent’anni dall’intervento di Flick (e, dunque, circa dieci dopo l’inizio di Tangentopoli).
Nel 2003, in un intervento dal titolo “Le nuove frontiere del diritto penale d’impresa” – da lei stessa definito come la naturale prosecuzione dell’analisi condotta da Flick – la professoressa ricordava come l’evoluzione legislativa riscontrata nei due decenni precedenti (ossia proprio a cavallo di Mani pulite), fosse stata resa possibile anche, se non soprattutto, dal «maturare di una coscienza sociale in merito al disvalore del reato economico: rimasta per anni in un alveo di comodo anonimato, la cd. “criminalità dei colletti bianchi” è stata per lungo tempo considerata dalla collettività meno insidiosa e dannosa della criminalità tradizionale e, sostanzialmente, ignorata».

Se tale concezione era stata per lungo tempo favorita dal fatto che «gli effetti prodotti dal reato economico si diluiscono su larga scala e nel lungo periodo e appaiono, dunque, difficilmente percepibili dall’uomo comune», è anche vero – ricordava Severino – che «a partire dagli anni ’90 il fenomeno Tangentopoli ha praticamente rovesciato quest’ottica, raggiungendo gli apici che tutti conosciamo: fatti di corruzione, falso in bilancio, bancarotta fraudolenta e perfino quelli fino ad allora considerati forme di indebito (ma tollerato) sostegno alla politica, ossia l’illecito finanziamento ai partiti, sono venuti alla ribalta della cronaca, divenendo ben presto oggetto di una severa repressione. Si è formato dunque – e come in tutte le rivoluzioni, anche culturali, in modo cruento – un nuovo consenso sociale intorno al reato economico, finalmente riconosciuto come forma perniciosa e nociva, capace di interferire sulle corrette dinamiche della libera concorrenza su cui l’art. 41 Cost. fonda il nostro sistema imprenditoriale».
Terza e ultima tappa sono le argomentazioni svolte da un altro Maestro del diritto penale dell’economia – il professor Filippo Sgubbi, scomparso nel 2020 – il quale, nel 2017, metteva bene in luce la deriva cui è andata incontro la legislazione degli ultimi decenni. Legislazione che lo stesso autore ricollegava proprio al fenomeno Tangentopoli, definito «l’inizio di un’epoca di profonda trasformazione del diritto penale e delle relative prassi applicative».
Tanti gli interventi legislativi che il Sgubbi menzionava come esempi del cambiamento che quell’epoca aveva lasciato sul diritto penale dell’economia: dalle numerose riforme dei delitti contro la pubblica amministrazione che negli anni a seguire verranno approvate (tutte caratterizzate da un progressivo innalzamento della risposta sanzionatoria) all’introduzione della responsabilità degli enti ex d. lgs. 231/2001; dalla normativa ambientale a quella antiriciclaggio; dalla riforma dei reati societari, all’istituzione dell’ANAC.
Uno degli ultimi interventi, in ordine di tempo, è rappresentato dalla cosiddetta legge “spazzacorrotti” che, sebbene successivo all’intervento del professor Sgubbi, era stato dallo stesso profeticamente annunciato: «Gli esempi più evidenti di normazione penale sfuggente e idonea a espandere la discrezionalità giudiziale sono offerti proprio da talune leggi molto recenti. Segno che l’opinione e i movimenti che vengono definiti solitamente “giustizialisti”, originatisi con Mani Pulite, hanno avuto una gestazione lenta ma in costante progressione, accompagnati dall’azione della giurisprudenza».
In conclusione – ma si tratta di considerazione che potrebbe essere estesa anche a settori diversi dal penale – da una situazione di complessiva inadeguatezza, dovuta anche alle nuove problematiche che la criminalità economica in quegli anni poneva, il nostro sistema è passato attraverso una prima fase di profonda trasformazione culturale (senz’altro frutto di Tangentopoli e non del tutto priva di conseguenze positive), poi seguita da una successiva fase (nella quale probabilmente ancora ci troviamo) caratterizzata da interventi legislativi che non sempre hanno brillato per organicità e sistematicità.
Torna in mente una vecchia massima cara alla dottrina – e raramente tenuta in considerazione – secondo cui nel diritto penale dell’economia occorrerebbe fare economia di diritto penale.
*Partner di Pistochini Avvocati e Direttore di Giurisprudenza Penale
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