Hogan Lovells, ricavi 2018 a 34 milioni
Non solo avvocati, ma business specialist. Massima attenzione ai clienti. E cura del clima interno allo studio. È il modello Hogan Lovells. E funziona. Parlano i numeri. Il 2018, per la law firm guidata in Italia da Luca Picone (nella foto), si è chiuso con un fatturato di 34 milioni di euro, circa il 13% in più rispetto ai 30 milioni del 2017. «Una crescita importante – sottolinea l’avvocato parlando a MAG – resa ancora più interessante se si pensa che è avvenuta praticamente a perimetro costante». Vale a dire che questa crescita non è l’effetto dell’innesto di nuovi soci e dell’integrazione del loro business con quello della law firm in Italia. Bensì si tratta di un risultato che riflette un percorso di sviluppo dello studio totalmente organico. Il numero dei partner, dal primo gennaio 2019, risulta aumentato di un’unità (da 20 si è passati a 21 soci) ma per effetto di una promozione interna, quella di Massimiliano Masnada.
Considerata la parsimonia con cui, in generale, nelle law firm internazionali si fanno nuovi soci, il riconoscimento ottenuto dalla practice italiana di Hogan Lovells è un dato rilevante ed evidenzia non solo il consolidamento del suo posizionamento settore TMT ma anche la crescente affermazione del lavoro portato avanti dal neo-socio sul fronte privacy.
Sul punto, Picone fa notare come questo dato rientri in una strategia più ampia. «Ferma restando la nostra offerta di servizi legali in tutti gli ambiti del diritto d’impresa, ci stiamo concentrando in settori all’avanguardia, “di frontiera” e moderni se vogliamo, nei quali abbiamo un numero minore di competitor e in relazione ai quali i nostri clienti sanno meglio apprezzare il valore aggiunto del servizio legale», dice il managing partner. Nuove tecnologie, sharing economy, e-commerce o se si preferisce raggruppare l’insieme sotto un’unica “etichetta” si potrebbe parlare di digital economy. «Internet, digitalizzazione e utilizzo dei dati stanno trasformando l’economia. Lì ci poniamo come interlocutori di riferimento dei nostri clienti». Un ambito di attività con grandi potenzialità perché è in grado di coinvolgere molteplici aree di pratica dello studio: dal societario fino a tutte le declinazioni del regolamentare, passando per il contenzioso, ovviamente.
Sempre all’interno di questa strategia, fa notare l’avvocato, può essere letto l’impegno di Hogan Lovells nel farmaceutico. Qui, l’attività si concentra molto sul contenzioso oltre che sulla contrattualistica, il regolamentare e l’m&a.
«Sono settori in cui riusciamo a combinare e valorizzare le expertise locali con le competenze del nostro studio a livello internazionale».
A proposito di fusioni e acquisizioni, Hogan Lovells ha avuto un anno molto intenso: 14 deal per un valore complessivo di 1,2 miliardi di euro. Tra questi, a proposito di pharma, lo studio ha affiancato Shire Italia nella cessione della divisione oncologica a Servier Italia. Poi ci sono state l’acquisizione di iGuzzini per conto di AB Fagerhult (deal del valore di 385 milioni di euro), la vendita di Forno d’Asolo da parte di 21 partners (275 milioni) e la cessione del 60% di Caffè Borbone a Italmobiliare (140).
Più in generale, Picone sottolinea la performance positiva corale dell’organizzazione nella Penisola («è stato un anno molto soddisfacente anche per il nostro fiscale, amministrativo e per l’antitrust, solo per fare alcuni esempi») e si dice convinto che a favorire determinati risultati sia anche l’impegno dello studio sul fronte della cura del clima interno.
«Questi risultati sono anche legati agli investimenti che stiamo facendo sulla qualità dell’ambiente di lavoro. Sono frutto dell’attenzione che stiamo dedicando al benessere dei nostri professionisti e dei componenti del nostro staff». Un managing partner può incidere molto «sulla…
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