Guarino, storia di una boutique

di giuseppe salemme

Lo studio legale Guarino e associati, dal 1962, anno della sua fondazione, era sempre stato la creatura di Giuseppe Guarino (venuto tristemente a mancare proprio lo scorso aprile), giurista e avvocato noto non solo per la grande levatura accademica ma anche per le cariche di deputato e ministro (prima delle Finanze, poi dell’Industria e delle Partecipazioni Statali) ricoperte a cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90. La guida dell’insegna romana è passata ora definitivamente al figlio Andrea Guarino, classe 1953, anch’egli giurista dall’importante curriculum accademico e professionale, nonché deputato della Repubblica per una singola legislatura nel 1996.

L’anima dello studio, fortemente orientata sulle tematiche del diritto amministrativo e dell’Unione Europea, rimane la medesima, di padre in figlio: se Giuseppe Guarino aveva sempre seguito e commentato con attenzione l’evolversi delle forme di aggregazione europee, dapprima da aperto sostenitore e, in seguito, da fervente critico della moneta unica europea e di misure come il fiscal compact, il figlio Andrea è cresciuto professionalmente a Bruxelles negli anni ‘80: dapprima in Cleary Gottlieb e nello studio inglese Belmont; per poi essere tra i cofondatori dello studio Acquarone Casella Gerini Guarino Libonati Pappalardo e Uckmar, tra i primi veri studi legali italiani a Bruxelles, insegna poi assorbita in buona parte da Jones Day.

Ma sono molti i trascorsi interessanti della vita dell’avvocato Andrea Guarino, a cominciare da un percorso accademico tutt’altro che canonico per un giurista. Ed è quindi proprio questa la prima domanda che MAG gli ha posto, prima di farsi raccontare cos’è lo studio legale Guarino oggi e di affrontare con lui alcune questioni oggi in primo piano in ambito di diritto europeo…

Lei originariamente si era laureato in fisica; e anche le sue prime esperienze lavorative sono in quel campo. Come ha fatto a ritrovarsi a fare l’avvocato?
È stato in gran parte un gioco del caso. La fisica mi piaceva e mi appassiona tuttora, ma mentre adesso i laureati in fisica lavorano in banca diventano subito milionari grazie ai loro algoritmi, all’epoca mi trovai a fare il programmatore. Finché una notte sognai di essere un’unità a disco che scaricava i propri dati in un’unità a nastro, e diedi le dimissioni il giorno dopo [ride, n.d.r.]. A quel punto mi assunse una società di pompe idrauliche, che aveva bisogno di un fisico in quanto aveva comprato un brevetto per pannelli fotovoltaici: per fortuna si accorsero di non avere abbastanza soldi per sviluppare quel brevetto prima di accorgersi che io di pannelli fotovoltaici non sapevo assolutamente nulla! Quindi mi chiesero se parlassi l’inglese e mi mandarono a vendere pompe idrauliche: ed è in quel periodo che ho cominciato a confrontarmi con le mie prime lettere di credito e cambiali. Chiedevo consigli a mio padre, che un po’ sadicamente mi indicava un’intera libreria di testi giuridici. A quel punto mi dissi che leggerli tutti significava praticamente laurearsi in giurisprudenza. E così fu.

Nonostante l’importante figura paterna, si è unito tardi al suo studio legale…
Sì. Uscito da Jones Day fondai un mio studio basato a Bruxelles, con un punto d’appoggio qui a Roma, che era logisticamente situato nello studio di mio padre. Poi però sono stato candidato alle elezioni politiche del 1996, e a quel punto mi è sembrato corretto tornare in Italia. In quegli anni lavorai poco come avvocato, sia per ovvie ragioni di mancanza di tempo, sia per evitare il più possibile conflitti di interesse. Sono diventato organico dello studio legale di mio padre tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, quando ho cominciato ad allentare il mio impegno parlamentare, rendendomi conto che non era il mio mestiere.

Che studio siete adesso?
Mi piace paragonarci alla Aston Martin. Ce l’ha presente? Esiste dal 1912, e in 120 anni ha prodotto non più di 20mila macchine; numero che altre case automobilistiche raggiungono in un anno. Dovessi definirci usando la terminologia in voga adesso direi che siamo una boutique, nel senso migliore del termine.

Quanti professionisti contate?
Il numero è sempre…

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