Grandi studi: dieci anni fa si sottovalutava il mercato o qualcosa è cambiato?

di nicola di molfetta

Io me le ricordo molto bene. Lunghe, lunghissime chiacchierate con i managing partner di molti dei grandi studi legali attivi in Italia che, una decina di anni fa, mi dicevano che, se avessero potuto, se non fosse stato impensabile tornare indietro, avrebbero rivisto completamente la struttura e le dimensioni delle loro organizzazioni. Gli anni del boom di questo mercato avevano presentato un conto salatissimo nel momento in cui gli effetti della crisi finanziaria globale (partita nel 2008 negli Usa e perdurata fino a tutto il 2014 anche qui da noi) avevano gettato in una condizione di emergenza costante numerose strutture che vedevano pericolosamente a rischio la loro capacità di continuare a produrre ricavi e, soprattutto, utili come negli anni precedenti. In tanti, che all’epoca guidavano studi legali (e in qualche caso sono ancora lì), dicevano e assicuravano che la lezione era stata assimilata e che, quando finalmente avrebbero smesso di leccarsi le ferite, avrebbero fatto tesoro della lezione appresa e avrebbero impostato le loro strategie di investimento in modo completamente diverso. Basta crescere per crescere. Le dimensioni dello studio non erano importanti quanto il pensiero, la visione e la strategia che dovevano diventare la precondizione indispensabile di qualsiasi scelta d’investimento.

Sono passati dieci anni. Il mercato è tornato a crescere. E molti studi sono tornati a puntare sul fattore dimensionale. Questo 2023, che avrebbe dovuto essere il primo anno di recessione percepita anche dagli operatori del mercato dei servizi legali, si avvia al termine senza che alle sue spalle ci siano particolari cumuli di macerie. E, soprattutto, molti operatori stanno nuovamente investendo per allargare le fila dei loro professionisti acquisendo dimensioni che, a detta di tanti, sono ormai indispensabili per “giocare le partite che contano”.

Si sbagliavano all’epoca o si sbagliano adesso (presi da un abbaglio di diabolica perseveranza)? Sono in molti a domandarselo.
Il settore va incontro a un nuovo sboom, con relativi tagli e polemiche sotterranee, o questa crescita ha delle caratteristiche differenti? Io credo che delle differenze ci siano, siano rilevanti e che forse, questa volta, le cose potrebbero andare diversamente.

La crescita a cui il settore assistette all’epoca, infatti, fu una crescita incontrollata e generalizzata. Qualunque organizzazione poteva diventare una law firm (o almeno pensava di poterlo fare) semplicemente imbarcando gente e, auspicabilmente, fatturato. L’equazione, tuttavia, si rivelò presto errata. Primo perché la gente presa a caso diventava solo un costo. Secondo perché il fatturato, se non adeguato agli oneri che richiedeva per essere prodotto, si trasformava in una perdita. Oggi, chi si muove nella direzione della crescita lo sta facendo in modo diverso (delle eccezioni ci saranno pure, ma tali dovrebbero restare). E soprattutto non tutti gli operatori del settore pensano di avere la necessaria forza aggregativa. Non so come dire, ma la mia sensazione è che l’ecosistema dell’avvocatura d’affari stia cominciando a produrre una specie di selezione naturale che vede alcuni operatori destinati a crescere e diventare alcuni dei pochi player rilevanti a livello nazionale, mentre il resto delle organizzazioni decideranno se restare piccole (dove per piccole si intende realtà con non meno di una trentina di professionisti in squadra) strutture attive in aree ad alto tasso di specializzazione oppure epigoni locali di grandi insegne globali capaci di selezionare lavoro ad altissimo valore aggiunto e di natura quasi esclusivamente transnazionale. Per il resto, non vedo altri spazi significativi. Soprattutto non li vedo per chi punta a stare nel mezzo, nel punto di intersezione tra questi tre macro-insiemi che ho appena descritto. Non li vedo perché a lungo andare ci sarà una nuova polarizzazione del settore sempre meno adatta a proposte di élite che, anche se loro malgrado, dovranno scegliere se diventare nuove forze aggregative o rinchiudersi in torri d’avorio che i loro eredi, un domani, dovranno decidere come gestire visti i sopraggiunti limiti di sostenibilità.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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