Grande Stevens, storia di un avvocato

di nicola di molfetta

Quando da giornalista mi sono trovato, per una classica serie di coincidenze, a dovermi occupare d’avvocati e mercato dei servizi legali, ricordo che ho provato un senso di spaesamento. Non conoscevo la materia, che in Italia non aveva una tradizione giornalistica, e non conoscevo quasi nessuno dei protagonisti del settore. Una delle poche eccezioni, un avvocato che ogni giornalista conosceva, e direi persino ogni italiano, era Franzo Grande Stevens (nella foto in alto, assieme a Gianni Agnelli e a Cesare Romiti).

Anni dopo ho avuto la fortuna d’incontrarlo. La prima volta a Bologna, durante un drammatico Congresso nazionale forense durante il quale si cominciava a discutere di nomi degli studi legali, apertura al mercato della professione, concorrenza, internazionalizzazione, organizzazione delle associazioni. Fu uno scambio molto cordiale, al quale seguì una prima intervista. Anni dopo, nel 2017, ho avuto il privilegio di andarlo a trovare nello studio in via del Carmine a Torino. Lui bevve una camomilla. Io un caffè. Restammo insieme per un’ora. La voce s’era fatta sottile, ma i suoi racconti riempirono il nostro tempo e mi regalarono una storia che condensai in un articolo che divenne una delle più belle copertine di MAG. La intitolai Intervista con l’avvocato dell’avvocato: una citazione al quadrato. Il titolo di una celebre canzone di Lucio Dalla, e la definizione che la stampa dava da sempre di Grande Stevens: l’avvocato dell’Avvocato, dove il secondo era Gianni Agnelli, leggendario capo azienda della Fiat.

Grande Stevens ha attraversato più di settant’anni di professione con una lucidità e una visione che lo hanno reso punto di riferimento per l’élite industriale italiana. Laureato a Napoli, dove iniziò a lavorare nel pastificio del nonno per mantenere la madre dopo la morte del padre, si trasferì a Torino nel 1953 quasi per caso, dopo aver mancato un appuntamento con Paolo Greco, professore e direttore della Rivista di diritto commerciale. L’incontro avvenne comunque, ma a Torino. E lì sarebbe rimasto.

Torino lo “adottò”. Il mondo dell’ex Partito d’Azione, da Norberto Bobbio ad Alessandro Galante Garrone, lo accolse affidandogli lo studio dell’avvocato Dante Livio Bianco, appena scomparso. Lì cominciò una nuova vita, un nuovo stile di professione. Collaborò con Piero Calamandrei, difese Ferruccio Parri da accuse infamanti, ottenne le prime consulenze societarie – come quella per la Sip – e si ritrovò a consigliare nomi che avrebbero fatto la storia dell’imprenditoria italiana, da Michele Ferrero (e il caso del bar “Mon Chérie”) a Gianni Agnelli, per l’appunto.

Con l’Avvocato fu subito intesa. Agnelli lo volle per la vendita di un’azienda a investitori americani. Un test superato brillantemente. Da lì nacque un rapporto fiduciario profondo, fatto di diritto e visione strategica, ma anche di stima reciproca e riflessioni storiche. «Si affacciava spesso alla finestra del mio studio per osservare l’obelisco che ricorda la legge Siccardi», raccontava Grande Stevens. «Era affascinato dal Risorgimento e da quella pagina laica e liberale della nostra storia».

Grande Stevens fu il custode giuridico dell’architettura di potere del gruppo Fiat, dalla struttura dell’accomandita agli snodi più delicati come l’equity swap del 2005, che salvò il controllo della famiglia sull’azienda. Finì sotto inchiesta, ma fu prosciolto. E nel 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo gli diede piena ragione, sancendo che l’Italia aveva violato il principio del ne bis in idem.

Ma fu anche uomo di visione. Fu presidente della Cassa Forense e del Consiglio Nazionale Forense, in anni in cui l’avvocatura stava cambiando profondamente. Vedeva con preoccupazione l’eccesso di iscritti all’albo e il declino della qualità nella classe dirigente. «Servirebbe un’altra generazione», mi disse. «Una classe politica diversa».

Oggi, che Franzo Grande Stevens non c’è più, resta il segno di una vita straordinaria. Non solo per i ruoli che ha ricoperto o per i nomi che ha assistito. Ma per aver incarnato, fino in fondo, l’idea di un avvocato che sa essere intellettuale, tecnico, stratega. E che ha fatto della riservatezza e della disciplina uno stile di vita. L’avvocato dell’Avvocato. E, forse, l’ultimo di una grande scuola.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

SHARE