Gli avvocati e il do ut des con il governo Renzi

di nicola di molfetta

Do ut des. Il renzismo prestato alla professione legale sembra declinabile secondo il vecchio motto latino. Dare per ricevere. Cedere e concedere.  E a farsi interpreti di questo modo di gestire il rapporto tra politica e avvocatura sono i titolari dei dicasteri della Giustizia, Andrea Orlando e dello Sviluppo economico, Federica Guidi.

Il primo è quello che nel corso di questa legislatura ha fatto le maggiori concessioni. Tanto che, dopo anni di fischi e polemiche, è stato il primo guardasigilli ad essere applaudito durante un congresso nazionale forense, a Venezia, lo scorso anno. La seconda è, invece, colei che sta lavorando alla modernizzazione della professione (o quantomeno alla sua equiparazione alle altre professioni legali e intellettuali) e in particolare, con il «dl concorrenza», alla sua svolta in termini societari.  

Il governo, per la prima volta dopo anni, sembra essersi accorto che non è più possibile parlare di avvocatura come se si trattasse di un corpo unico ovvero di una realtà uniforme. Da un lato ha individuato l’esistenza di una categoria conservatrice, per nulla orientata al mercato e bisognosa di prerogative, come i tanto rimpianti minimi tariffari obbligatori. Dall’altro si è accorto che esiste una porzione crescente del corpus forense che invece vuole esplorare altre strade e provare a farsi interprete di un nuovo modo di esercitare la professione secondo standard moderni.  

Da un lato abbiamo visto la ricostruzione di un “terreno di caccia” a favore degli avvocati più tradizionalisti. Dall’altro assistiamo al tentativo di introdurre un laissez faire che potrebbe aiutare la nascita di una avvocatura italiana in grado di competere con quella internazionale anche sul piano della capacità imprenditoriale.   Con il conferimento agli avvocati di un ruolo attivo nella gestione della degiurisdizionalizzazione dell’arretrato civile, di fatto, si è detto ai legali italiani che dovranno rinunciare a un po’ di cause in Tribunale ma che saranno il primo soggetto chiamato a occuparsi della risoluzione delle controversie in sede arbitrale. Stesso messaggio, anche se in alcuni casi dell’avvocato se ne potrà fare a meno, è stato mandato alla categoria con il progetto sul cosiddetto divorzio breve dove è prevista la negoziazione assistita. Più di recente, poi, il tanto discusso «dl concorrenza» ha anche consentito agli avvocati di poter gestire le compravendite di immobili non residenziali di valore di valore fino a 100mila euro, sottraendo una storica esclusiva ai notai.  

In quest’ultimo caso, come molti sanno, addirittura il governo ha fatto ai legali un regalo non richiesto, creando una nuova area di business a cui potranno attingere in particolare coloro i quali credono che l’attività professione non richieda un’attitudine di mercato ma sia quasi un ministero da esercitare ope legis.  

Fin qui, il “do”. Quanto al “des”, invece, il governo sta cercando da un lato di rendere la categoria più trasparente. Nel «dl concorrenza», per esempio, si parla di rendere obbligatorio il preventivo che, la legge professionale forense dice che va fatto solo su richiesta del cliente. Il legislatore si è reso conto che l’esercizio del diritto di richiedere un preventivo a un avvocato in molti casi è stato vanificato dal fatto che tanti non sanno di avere queste possibilità. Sempre il dl che ha preparato il ministero dello Sviluppo economico, si occupa della questione della riserva stragiudiziale ottenuta dalla legge professionale forense. Anche su questo fronte potrebbe arrivare un colpo di spugna. Del resto, in questo caso, si tratta di un’esclusiva che tale è rimasta solo sulla carta. Perché gli stessi clienti che non sanno di avere il diritto di chiedere il preventivo ai loro avvocati, molto spesso non sono coscienti del fatto di avere il dovere rivolgersi a un legale per ottenere pareri o gestire operazioni fuori dalle aule di tribunale.

Dall’altro però la norma sta anche cercando di aprire un varco tra le rigidità corporativistiche in favore di quella fetta di avvocatura che crede sia il momento di farsi coraggio e approcciare la professione in modo nuovo. Ovvero di quella porzione minoritaria di legali italiani che non ha paura di parlare d’impresa quando si riferisce al proprio studio e che non prova alcun imbarazzo nel rompere gli schemi e i rituali del passato. Quella minoranza che, con la nuova legge professionale, s’era vista negare la possibilità di avere un partner finanziario con cui avviare un piano di crescita e investimenti per il proprio studio.

Questo sarà un banco di prova molto importante per il legislatore, che dovrà produrre una normativa efficace e non ingenua per regolamentare la finanziarizzazione degli studi legali. Ma sarà un test rilevante anche per gli avvocati che se vorranno arrivare puntuali a questo appuntamento dovranno evolvere in senso radicale.

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