Giuristi d’impresa, l’albo resta off limits

di nicola di molfetta

 

 

Niente da fare. Nell’Albo degli Avvocati non ci può essere spazio per i giuristi d’impresa. A ribadire il concetto è stata nei giorni scorsi la Commissione consultiva del Consiglio nazionale forense (Cnf) che ha risposto a un quesito arrivato dal Consiglio dell’ordine di Bologna.

A riportare in auge il tema è il testo dell’articolo 2 della legge professionale (247/12) che al comma 6 fa delle aperture al ruolo e alla funzione del giurista d’impresa. In particolare, il quesito arrivato dal Foro emiliano domanda se la legge consenta a «qualsiasi giurista d’impresa, anche se non iscritto all’ufficio legale di un ente pubblico o a maggioranza pubblica di iscriversi all’Albo».

La risposta del Cnf è negativa. Il perché viene così spiegato: primo per i giuristi d’impresa esiste una condizione di incompatibilità con l’iscrizione all’Albo prevista proprio dalla stessa legge professionale (art. 18 lettera d); secondo gli avvocati degli enti pubblici sono cosa molto diversa dai colleghi che lavorano alle dipendenze di una società privata.

La legge del 2012 si è limitata a riconoscere la possibilità che il dipendente di una società privata svolga una attività di consulenza e assistenza stragiudiziale in favore del suo datore di lavoro. In qualche modo, quindi, ne ha riconosciuto il ruolo e gli ha dato una sorta di legittimazione. Ma la «professione», dice la legge e ricorda il Cnf, resta incompatibile con qualsiasi attività di lavoro subordinato.

Per rafforzare l’argomento si fa riferimento anche a un’altro recente parere, arrivato dall’ufficio studi in cui addirittura si sottolinea che anche per l’avvocato di un ente locale, l’iscrizione all’Elenco speciale è subordinata allo svolgimento in via esclusiva delle funzioni di avvocato dell’ente pubblico. E il venir meno di questo requisito non consente al dipendente di conservare l’iscrizione all’Albo.

Tutto chiaro? Beh, in linea di principio sì.

Ma resta una questione che non si riesce a comprendere fino in fondo. L’eccezione normativa in favore degli avvocati impiegati in enti pubblici, se capiamo bene, è determinata dal fatto che questi avvocati svolgano esclusivamente le loro funzioni di legali all’interno di un ufficio autonomo appositamente costituito e dal fatto che in questo modo questi giuristi possano avvolgere il loro lavoro in favore del loro “cliente interno” in piena libertà e autonomia. Praticamente come un avvocato di libero foro. Condizione, possiamo dedurre, che una società privata non sarebbe in grado di garantire al proprio legale in-house.

Ma se così fosse, allora, non si spiegherebbe perché il diritto all’iscrizione all’Albo sia concesso oltreché agli avvocati degli enti pubblici anche a quelli che lavorano per società partecipate. Da Ferrovie dello Stato a Eni, passando per Enel e Poste. Per non parlare di alcune banche. Tutte realtà che hanno una struttura e un’organizzazione simile e comparabile a quella di loro concorrenti che nell’azionariato non hanno un ministero o un Comune.

Insomma, le regole vanno bene e vanno rispettate. Ma la coerenza nell’applicarle dovrebbe essere un dato fondamentale. Soprattutto per evitare di fare confusione e dare l’idea che tutti gli avvocati d’impresa sono uguali ma alcuni sono più uguali degli altri.

Detto questo, forse sarebbe opportuno riflettere sull’opportunità di agire in senso contrario e riformare la normativa in materia per aprire agli avvocati anche una carriera in azienda. Storicamente questo non è stato fatto per il timore che gli avvocati dipendenti potessero togliere lavoro a quelli che stanno sul mercato con i loro studi indipendenti. Ma i fatti dimostrano che così non è. Le direzioni affari legali sono molto spesso incaricate di gestire una parte del lavoro stragiudiziale dell’azienda. Ma non possono e non riescono a sostituirsi in toto ai consulenti esterni. Invece, una codificazione nuova della professione in house potrebbe rappresentare una importante alternativa di carriera per tanti bravi avvocati che oggi come oggi faticano a stare sul mercato da soli.

Inoltre, una riforma in tal senso della legge eliminerebbe una volta per tutte questa storia dei due pesi e due misure che, francamente, ci siamo stancati di commentare a intervalli regolari di tempo.

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