GIANNI: «I CAPITALI VOGLIONO CERTEZZA DEL DIRITTO»

Il 2014 doveva essere l’anno d’oro delle privatizzazioni e quello record per le quotazioni in Borsa. Alla fine, il consuntivo si prospetta più magro del previsto. ?Delle privatizzazioni annunciate, hanno tagliato il traguardo solo Cdp Reti, Tag e Fincantieri. Complessivamente, queste operazioni hanno portato nelle casse dello Stato poco meno di 3 miliardi di euro. Circa il 25% di quanto il piano di dismissioni, concepito dall’allora governo Letta, aveva previsto. Anche il settore delle Ipo, inizialmente partito a razzo, non è stato all’altezza delle aspettative che aveva suscitato (si veda il numero 26 di Mag by Legalcommunity). Tra agosto e ottobre, Rottapharm, Italiaonline, Intercos e Fedrigoni hanno interrotto le procedure per l’ammissione a Piazza Affari gelando i mercati dopo mesi di euforia. Per molti analisti, entrambi questi fenomeni sono dipesi anche dalla difficoltà del Paese di attrarre capitali dall’estero. Effettivamente, afferma Francesco Gianni, socio fondatore di Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners e protagonista di molte di queste operazioni con il suo studio, «c’è stato un periodo di pausa per gli investimenti stranieri in Italia. Anche se in in questo momento le cose stanno ripartendo». Il successo della quotazione di Rai Way ha riportato il buon umore sul mercato. Mentre Poste e Ferrovie dello Stato dovrebbero andare sul mercato nel 2015. Ma il problema di fondo resta ancora irrisolto, come spiega l’avvocato Gianni in questa esclusiva intervista a Mag by Legalcommunity (clicca qui e scarica gratis la tua copia): «Al sistema Italia serve una rivoluzione copernicana».

Avvocato Gianni, è vero che l’Italia fa fatica ad attrarre capitali internazionali?
Di sicuro fa più fatica che in passato. E direi che ci sono almeno tre diversi motivi per cui questo accade. Il primo è che la concorrenza è aumentata.

I capitali hanno più scelta?
I Paesi interessanti per gli investitori internazionali sono molto di più rispetto anche solo a 20 o 30 anni fa. Si pensi all’Africa o all’Europa Centro Orientale. Oggi ci sono molti più competitor. Non ci confrontiamo più solo con Germania, Francia o Svezia.

Un confronto impari per molti versi…
Certo, se non altro perché spesso si tratta di Paesi in via di sviluppo, con tassi di crescita più elevati di quello dell’Italia (che quest’anno resterà ferma al palo e forse il prossimo porterà a casa un +0,3% di Pil, ndr), salari più bassi e normative amministrative molto più rilassate. Insomma, il problema non è solo dell’Italia che è diventata meno attraente per gli investimenti.

Ma i capitali arrivano anche in Francia e in Germania che non sono proprio Paesi emergenti…
I nostri concorrenti diretti hanno fatto grandi investimenti in termini di infrastrutture, ricerca, sviluppo e concentrazione delle attività economiche. Noi siamo rimasti fermi. Per tanti anni l’Italia non ha coltivato la sua competitivià sul fronte dell’innovazione. Ci hanno tenuto a galla solo il lusso e il made in Italy.

Ha fatto riferimento alla concentrazione: le aziende italiane hanno ancora un problema di dimensioni?
Le realtà italiane sono piccole. E questo fa sì che non sempre entrino nel radar screen dei grandi investitori internazionali per i quali è molto più facile andare a investire in società più grandi e con una maggiore visibilità di mercato. Ma c’è un terzo punto che, probabilmente, è il più importante di tutti.

Quale?
Siamo un Paese che ha perso il treno della semplificazione. Secondo alcune ricerche, molti investitori si tengono alla larga dalla Penisola perché l’Italia non offre certezza del diritto. Se questo dato fosse confermato, sarebbe drammatico. Quando mancano infrastrutture adeguate, un governo può realizzarle. Se il problema fosse la normativa sul lavoro, si potrebbe procedere con una riforma. Ma quando il problema è la certezza del diritto, allora la situazione si fa preoccupante, perché serviranno almeno due generazioni per cambiare le cose.

Pensa alle regole che cambiano in corso d’opera?
Se un’azienda fa un investimento, poniamo nelle rinnovabili e le tariffe sulla base delle quali ha fatto il suo business plan cambiano per tre volte nel giro di pochi anni, è normale aspettarsi che quell’azienda o i fondi che la finanziano decidano di spostarsi altrove. Questa combinazione di cose ha fatto sì che il Paese sia pian piano divenuto meno attraente.

Contro l’attrattività di altri Paesi possiamo far poco…
Invece, sul quadro normativo e su quello giuridico, incluso il funzionamento della giustizia, noi possiamo sicuramente fare qualcosa. Ci vorrà qualche anno, ma si può intervenire.

Qualcosa si sta facendo. Pensi al jobs act…
La realtà è che se si parla con chi non vuole fare polemiche inutili e vuole invece discutere di cose concrete, nessuno dirà che non si investe in Italia perché c’è l’articolo 18.

E’ un falso problema?

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