Gaming, Lexia ottiene nuovo rinvio alla Cgue sul canone di proroga delle concessioni

Il Consiglio di Stato ha nuovamente deciso di affidare alla Corte di giustizia europea la verifica della conformità al diritto dell’Unione delle norme che hanno disposto la proroga del canone di proroga delle concessioni, in quanto “restringono le libertà” riconosciute dal diritto Ue. La decisione arriva nel ricorso proposto da Play Game, BE e Coral, ancora una volta difesi dall’avvocato tributarista Alessandro Dagnino (nella foto), socio fondatore di Lexia avvocati ed esperto del settore giochi e scommesse, e dal team di amministrativo dello studio, composto dal coordinatore Ambrogio Panzarella e da Martina Abate.

È il secondo rinvio pregiudiziale ottenuto da Lexia a distanza di poche settimane sullo stesso tema.

La vicenda

La battaglia sui canoni di proroga prosegue da anni, da quando le concessioni delle sale bingo più vecchie sono scadute nel 2013. Da quell’anno il Parlamento ha rinviato il termine per la realizzazione delle gare con una serie di proroghe. Il canone mensile inizialmente era stato fissato a 2800 euro al mese poi è passato a 5mila euro e adesso vale 7500 euro al mese. “Con questa seconda ordinanza di rimessione – spiega l’avvocato Dagnino – i giudici amministrativi ampliano il campo della controversia, mettendo in discussione la stessa legittimità del regime della proroga onerosa, in vigore da un decennio”.

In particolare, l’avvocato di Lexia ritiene che l’incompatibilità della normativa italiana con quella europea sia riscontrabile in elementi quali: la determinazione in misura fissa del canone di proroga (che non terrebbe quindi conto delle differenze tra le diverse capacità degli operatori economici del settore); il fatto che il pagamento dei canoni sia condizione necessaria per partecipare alle future gare per l’assegnazione delle concessioni (per i giudici di Palazzo Spada, “l’uscita dal rapporto concessorio si potrebbe risolvere in un’uscita dal mercato”); il divieto di trasferimento dei locali.

“Sosteniamo da tempo – afferma l’avvocato Dagnino  – che il canone così concepito presenti i tratti di una prestazione patrimoniale imposta, in particolare di un’imposta capitaria, come tale intrinsecamente ingiusta e sperequativa e perciò illegittima. Dopo aver difeso alcune sale nel precedente giudizio innanzi alla Corte costituzionale ottenendo una pronuncia monitoria rimasta inascoltata dal Parlamento – che anzi ha ulteriormente esteso il regime di proroga – abbiamo ottenuto ben due rinvii pregiudiziali dal Consiglio di Stato, il che è già uno straordinario successo”.

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