FOTOVOLTAICO, MACCHI DI CELLERE E ORRICK PER LA RIVOLTA DEI FONDI
Il governo Renzi prova a diluire gli incentivi per il fotovoltaico italiano. E i fondi (internazionali e italiani) vanno immediatamente sul piede di guerra. Orrick, Macchi Di Cellere sono i principali studi contattati per studiare le contromosse da giocare dopo che l'esecutivo ha deciso di allungare da 20 a 24 il numero di anni su cui spalmare il pagamento degli incentivi alle aziende della filiera del sole. Se la norma (in commissione Ambiente e Industria al Senato) non dovesse essere ritirata dallo schema del decreto Competitività, i soggetti potenzialmente danneggiato hanno in mente di procedere dinanzi alla Commissione Europea per violazione delle direttive e chiedere l'attivazione della procedura d'infrazione contro l'Italia. Possibile anche la strada dell'arbitrato internazionale per violazione del principio di legittimo affidamento fissato dall'Energy Charter Treaty di Lisbona. Inoltre, i fondi potrebbero decidere anche di percorrere le strade della giustizia civile e amministrativa.
In sostanza, gli interessati ritengono che l'allungamento di 4 anni dei tempi di pagamento degli incentivi (deciso dal governo per abbatere del 10% le bollette delle Pmi) o il taglio secco dell'8%, potrebbe ledere diritti acquisiti perché viola il principio di stabilità dei meccanismi di incentivazione e di non discriminazione, causando un pregiudizio serio e grave agli investimenti delle Società nel settore fotovoltaico. Le modifiche legislative in discussione sono solo le più recenti misure di una lunga lista di oneri ed imposte che hanno considerevolmente ridotto i ricavi derivanti dalla vendita di energia elettrica da fonte solare, come l'introduzione di numerose tasse e contributi nel settore energetico (come, ad esempio, l'IMU, la c.d. Robin Hood Tax, gli oneri di gestione delle attività del GSE, la maggiorazione dell'aliquota IRAP), nonché la cancellazione dei Prezzi Minimi Garantiti che hanno concorso a determinare una riduzione dei ricavi dalla vendita di energia elettrica del 60%.
La mossa del governo, che secondo gli interessati, punta più a recuperare gettito per la fiscalità generale e non per la riduzione del costo dell'energia in bolletta del 10%, rischia di diventare anche un boomerang per lo Stato.
Numerosi investitori stranieri in impianti fotovoltaici in Italia hanno già avviato la prima fase della procedura arbitrale prevista dal Trattato Internazionale della Carta dell’Energia e paventano, nel caso in cui il taglio agli incentivi al fotovoltaico già contrattualizzati con il GSE stabilito nel decreto legge competitività 91/2014 venisse convertito in legge, danni che senz’altro superano il beneficio che il governo si è prefissato di ottenere dall’approvazione di questa norma.
Le denunce stanno arrivando "a pioggia" anche da numerose aziende italiane che hanno investito in questo settore i loro capitali facendo affidamento sul sistema di incentivazione vigente alla data di entrata in esercizio dell'impianto, cosi come prevedono i DD.lgss 387/2003 e 28/2011. L'Italia – denunciano gli investitori – è in violazione degli obblighi previsti dal Trattato assunti anche dall'Italia con la legge di ratifica. Qualunque sia la scelta (riduzione consistente degli incentivi dal 25% al 19% con allungamento periodo di incentivazione di 4 anni o taglio secco dell'8%) la previsione
«l taglia incentivi viola il principio dell’affidamento e il principio di certezza del diritto», sottolinea l'avvocato Germana Cassar (nella foto), partner dello studio legale Macchi di Cellere Gangemi, «perché mina alla base le condizioni per le quali gli investitori stranieri hanno deciso di investire in Italia, cioè l’esistenza di un sistema di incentivazione che garantiva la remunerazione del rischio imprenditoriale dell’attività di realizzazione e gestione di impianti fotovoltaici. Questo decreto assottiglia così tanto i ritorni economici sull’investimento parificandoli a un deposito bancario. Se l'investitore lo avesse saputo non avrebbe certamente investito».
Del resto, aggiunge l'avvocato, «qualunque imprevisto dovesse verificarsi sull’impianto (un guasto, un furto) nell’arco dei vent’anni è potenzialmente idoneo a determinare il fallimento della società. E' noto infatti che il sistema assicurativo non copre tutti i danni. Non tutti gli impianti fotovoltaici sono nella medesima situazione e la suddivisione per anno di entrata in esercizio non è coerente con il già intervenuto taglio agli incentivi dal terzo al quarto e poi al quinto conto. Per esempio gli impianti entrati in esercizio nel 2011 non hanno lo stesso livello di incentivazione. Proprio nel 2011 si sono succeduti ben tre regimi, il terzo conto energia per gli impianti entrati in esercizio fino al maggio 2011, il secondo conto energia per impianti entrati in esercizio entro giugno 2011, il regime transitorio del quarto conto energia per impianti entrati in esercizio entro agosto 2011 e poi il regime ordinario del quarto conto energia. Tutti questi regimi hanno tariffe incentivanti ben diverse, eppure il taglio ipotizzato dal decreto è lineare per anno di entrata in esercizio. La discriminazione e la disparità di trattamento è quindi evidente».
C’è poi un ulteriore aspetto importante da sottolineare: l'allungamento del periodo di incentivazione di 4 anni, sebbene astrattamente idoneo a recuperare una parte della riduzione, non tiene conto che la vita utile di un impianto fotovoltaico è di 20 anni o comunque della significativa riduzione di producibilità dei moduli fotovoltaici. Se dopo il 20esimo anno l'impianto non funziona o funziona male non potrà recuperare la riduzione della tariffa anche in considerazione che i costi di gestione dell'impianto aumenteranno sensibilmente (proprio per la necessità di aumentare i servizi di manutenzione della componentistica). «Chi si assume questo rischio?», si chiede retoricamente Cassar. «E' un po' come dire a un pensionato di 80 anni malato e senza eredi per cui è stata fatta una previsione di mortalità a 85 anni che la sua pensione viene ridotta ma allungata di altri 5 anni oltre l'85esimo anno di età. Non sono state chiarite le condizioni di finanziabilità di tale periodo di allungamento e dunque, per come formulata la norma, non è possibile operare le scelte imposte dal decreto».
«Se la condotta dell’Italia verrà giudicata dal tribunale arbitrale», conclude l'avvocato, «questo avrebbe il potere di riconoscere il dovuto risarcimento per tutti i danni cagionati alle Società che potrebbero anche andare ben oltre la differenza tra la tariffa originariamente riconosciuta e quella ridotta dal decreto. Vale la pena ricordare che la stessa Spagna, che aveva approvato misure legislative illegittime nel campo delle energie rinnovabili simili a quelle adottate dall'Italia, è stata convenuta in almeno dieci procedimenti arbitrali ai sensi del Trattato avviati da più di venti investitori stranieri. Con tali azioni, gli investitori hanno richiesto la condanna del Governo spagnolo al risarcimento del danno per 1 miliardo di Euro».