Finché partner non si separi

di Nicola Di Molfetta

Il lessico delle cronache legali pesca a piene mani dal glossario del diritto di famiglia. Così, le storie degli studi sono saghe fatte di periodi di prova, matrimoni, tradimenti, divorzi, ricongiunzioni. I soci, all’inglese, si chiamano come gli elementi di una coppia. Nessuna liaison è eterna. C’è chi va. C’è chi viene. E il successo di un sodalizio si misura dalla sua capacità di durare nel tempo e di farsi dinastia     

L’albero genealogico è fatto di padri fondatori, eredi professionali, rami cadetti, seconde e terze generazioni. Questa casa è uno studio legale. E chi ne fa parte si sente (o così dovrebbe) membro di una dinastia che per durare nel tempo passa attraverso matrimoni, separazioni, momenti di gloria, crisi e ricambi generazionali a cui seguiranno altri matrimoni, altre separazioni, nuovi attimi di culmine e ulteriori fasi di buio. La tragedia, di solito, si consuma con la fine dei sodalizi. La benedizione, invece, è segnata dall’inizio nuovi connubi che nelle intenzioni dei promotori sono destinati a un futuro di successi, ricchezza e affermazione professionale.

“Il nostro studio è come una grande famiglia”. Quante volte l’avete sentito dire. E come nella migliore delle tradizioni, l’idillio non è che una condizione momentanea. La differenza che passa tra le famiglie professionali che durano nel tempo e quelle che si estinguono dilaniate dalle conseguenze delle inevitabili separazioni sta nella consapevolezza di questa precarietà e nella capacità di organizzarsi per gestirla senza esserne sopraffatti.

Diamo un po’ di cifre. Negli ultimi dieci anni (2015-2024), l’osservatorio di MAG e Legalcommunity.it ha contato circa 1.400 divorzi professionali all’interno degli studi legali d’affari, i più inclini a questo genere di dinamiche. Si tenga presente che la delicatezza della fine di un sodalizio legale è quasi analoga a quella del tracollo di una vicenda di coppia, unita dal sacro vincolo, e dal Codice civile. La dissoluzione del rapporto coniugale, in Italia, è stata sdoganata nel 1970. Mentre la questione dei divorzi professionali è rimasta un tabù per molto più tempo. Uno scossone è arrivato quando l’ingresso delle law firm internazionali sul mercato tricolore ha messo a dura prova i legami tra soci degli studi indipendenti.

La seduzione dei candidati partner è stata tessuta a suon di danari, prospettive di carriera, liberazione anagrafica e demolizione della società feudale in cui persino l’evoluto settore della business law si organizzava in Italia. 

La questione, col tempo, è stata via via normalizzata. Nessun socio è per sempre. Non più. Eppure, la questione dei divorzi può essere, ancora oggi, motivo di forti imbarazzi. Così, talvolta, leggendo le cronache di settore capita di imbattersi in avvocati con “esperienze decennali” che fanno il loro ingresso in uno studio senza che si sappia, ovvero che (all’origine) si voglia far sapere, da dove arrivino, ovvero dov’è che abbiano accumulato questa lunga esperienza e le sue pertinenze di gloria.

Un po’ lo si capisce. Chi dice addio a un partner (salvo i casi di tagli travestiti da separazioni consensuali) fa ciao-ciao al compagno, amico, collega, sodale, delfino, allievo, o (talvolta) maestro. L’uso del maschile sovraesteso è evidente, credo.
Chi divorzia, e viene lasciato, versa lacrime non solo per la fine di un rapporto ormai risalente, ma soprattutto perché, assieme all’esimio, vede andar via i clienti che egli o ella seguiva e il fatturato che li accompagnava.
Sempre per far delle cifre e sempre tenendo a mente questi ultimi dieci anni, la mole di ricavi spostati dai divorzi professionali, i cosiddetti cambi di poltrona o lateral hires, ammonta attorno agli 850 milioni di euro. Un dato che parla da solo: il 25% del valore attuale del mercato nella sua fascia più alta.

Attenzione, però, a pensare che nella professione vince chi fugge. Il dato relativo alla tenuta delle operazioni in questione è decisamente interessante.
Il terzo principio della dinamica relazionale negli studi legali afferma, lapalissianamente, che a ogni uscita da uno studio corrisponde l’ingresso in un altro. Salvo che il divorziante non decida di cambiar vita in maniera radicale e quindi scelga di traslocare in azienda, avviare una start up o godersi la vita su una spiaggia di Capo Verde dopo anni di lauti guadagni.
Generalmente, però, a ogni divorzio corrisponde un matrimonio in altra sede e con nuovi obiettivi. Tuttavia, molti di questi sodalizi faticano a resistere più di cinque anni. Addirittura, l’osservazione empirica del fenomeno racconta che maggiore è la rilevanza dei profili coinvolti nel cambio di poltrona, maggiore sarà il rischio che questa unione possa risolversi in un nulla di fatto nel giro di poco.

C’è da dire, però, che proprio per queste ragioni, divorzi e matrimoni, nella professione, possono essere considerati le due facce di una stessa medaglia. È una questione di narrazione e ovviamente di momento storico.
In questa fase, per esempio, la sensazione è che a prevalere sia la tendenza ai matrimoni che poi vuol dire alla costruzione di nuovi progetti finalizzati a conquistare spazi di mercato, affermare nuove leadership, ridisegnare la geopolitica del settore. Si tratta di un trend esattamente opposto alle fasi di recessione, quando a prevalere è la logica del si salvi chi può, mentre i mercati rallentano e le famiglie professionali si disgregano sotto il peso delle loro strutture di costo fuori controllo ovvero per l’uscita di scena delle vecchie leadership risultate incapaci di produrre una successione.

In un caso e nell’altro, vale a dire sia per gestire l’avvio di un nuovo ciclo, sia per contenere l’attività tellurica connessa a una serie di uscite, gli studi legali cominciano ad avvertire la necessità di una guida, il bisogno di ascoltare una voce terza che, si presume, in virtù di una specifica conoscenza del settore, ovvero del fatto di esserne stata parte per una stagione più o meno lunga della propria vita professionale, sia in grado di aiutare gli avvocati di turno alle prese con il cambiamento. Anche i matrimoni e i divorzi legali hanno bisogno della loro terapia.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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