Essere legal designer. Un dialogo con Stefania Passera
di federico fontana*
Stefania Passera è forse la legal designer più nota e più esperta che abbiamo in Europa. Oltre ad aver fondato il “movimento” con Margaret Hagan e le altre founding mothers del legal design, a Stanford, nell’aprile del 2013, è diventata famosa grazie all’informativa privacy che ha realizzato per Juro, una piattaforma di contract automation inglese. Era la primavera del 2018, poco prima dell’entrata in vigore del Gdpr. Questo lavoro di Stefania viene citato molto spesso come caso di studio nella letteratura e nei corsi di legal design. E, di recente, se n’è tornato a parlare perché Juro ha deciso di “aprire” il modello a beneficio di tutti.
Per questo MAG ha deciso di raccontarvelo, “per filo e per segno”, dialogando con Stefania.
Il suo recente post su LinkedIn in annunciava la decisione di Juro di pubblicare in open i file sorgente e i design asset dell’informativa privacy ha registrato un record di letture, di like, di condivisioni e commenti. Perché questa reazione così partecipata ed entusiasta?
L’informativa di Juro aveva già una sua “fandom” sin da poco dopo la sua pubblicazione. Questo progetto era stato tra i primi, se non il primo, a mostrare un’applicazione concreta dei principi di trasparenza del Gdpr e di best practice consigliate da varie autorità garanti, come la “layered disclosure” (ovvero, fornire un primo livello di spiegazioni essenziali e concise, con la possibilità di andare più nel dettaglio passando a un secondo livello di informazioni).
“Fandom”, ci dice l’amica Wiki, è una “parola macedonia” traducibile con “il regno degli ossessionati”. La privacy Juro, oltre a essere la prima, ossessiona perché funziona?
Sinceramente, spero si spinga oltre all’ossessione e all’hype. Penso ci sia una grande, genuina fame di esempi concreti e risorse nel campo del legal design. Ed è giusto: il design lo si fa e lo si impara facendo, testando e ritestando, e sporcandosi le mani. Lo si impara anche tramite la “design critique”, ovvero dissezionando e criticando costruttivamente i lavori degli altri, vicendevolmente, così da poter fare tutti meglio.
Fare per pensare (“build to think”) è un’architrave concettuale del design thinking. Che livello di maturità ha raggiunto secondo lei, oggi, la nostra comunità di legal designers?
Il legal design è una disciplina emergente con grandissime potenzialità e, come accade con ogni novità, anche con la sua bella fetta di fuffologi, che purtroppo ne banalizzano il valore e contribuiscono a confondere chi onestamente voglia capire di cosa si tratti. Ma penso che le persone sentano la differenza e dunque diano un segnale forte e positivo a ogni iniziativa concreta che miri ad aggiungere un mattoncino di sapere alla nostra comunità. Condividere risorse riutilizzabili, può aiutare altri a sperimentare e costruire, arricchendoci tutti quanti: più si fa, più si impara, anche collettivamente.
Generare sapere collettivo per istigare ulteriore fare collettivo: fantastico! Ora schiacciamo il tasto REWIND e torniamo all’inizio. Come è nato il progetto Juro?
L’ambizione di Juro era quella di creare la miglior informativa privacy al mondo. Il Gdpr era alle porte e loro desideravano non soltanto affrontarlo come un tedioso esercizio di compliance, ma come un’opportunità per sperimentare col legal design e affrontare in maniera più profonda la sfida della trasparenza. Immediatamente, ho risposto alla loro…
PER PROSEGUIRE LA LETTURA CLICCA QUI E SCARICA LA TUA COPIA DI MAG