ECCO PERCHE’ L’ARTICOLO 18 E’ UN SIMBOLO DA NON ABBATTERE

di nicola di molfetta

Giorni contati per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Ma perché, non era già stato spazzato via dalla cura montiana somministrata all’Italia vittima dello spread? Evidentemente la risposta è no. Anche se nei fatti, come sostengono molti avvocati specializzati in materia, questa garanzia (il reintegro nei casi di licenziamento senza giusta causa) oramai si applica sempre più raramente, ovvero è sempre più facilmente aggirabile. Per la serie, se un’azienda vuole licenziare: licenzia.

L’Italia e il governo Renzi si sono accorti che l’articolo 18 costituiva ancora un problema per la competitività del Paese e la sua capacità di attrarre investimenti durante la scorsa estate. Alzino la mano quanti hanno pensato si trattasse di una polemica agostana: io sì. E devo dire che quando ho preso atto che il tema era entrato davvero nell’agenda d’autunno del governo, mi sono dovuto ricredere non senza stupore.

La battaglia contro l’articolo 18 così come quella in sua difesa, infatti, non sarà sufficiente a vincere la guerra contro la crisi e per l’avvio di una nuova stagione di crescita. Allo stesso tempo, però, non credo che cancellare questo simbolo sia una mossa utile e saggia.

Il fatto che, allo stato delle cose, la norma e le sue tutele siano di fatto superabili e aggirabili da chi lo voglia, ovvero da chi possa permettersi avvocati in grado di annullare la barriera ai licenziamenti rappresentata dallo Statuto del 1970, non significa che lo si possa cestinare in nome di una pretesa svolta liberale e mercatista nella gestione delle relazioni industriali.

Se l’articolo 18 è solo un simbolo, forse bisogna prima meditare su cosa rappresenti e poi decidere se intaccarlo. L’articolo 18, infatti, è uno dei pochi istituti che ancora riesce a dare un senso a quell’Italia, Repubblica fondata sul lavoro, che la Carta Costituzionale proclama nel suo articolo numero 1. Ma l’articolo 18, in un Paese in cui nessuno si fida più di nessuno, rappresenta anche una “clausola di civiltà” a garanzia della correttezza dei rapporti tra datori di lavoro e dipendenti. L’articolo 18 ha (seppur poco applicati) suoi pari in ogni altro Paese del Vecchio Continente ad eccezione di Spagna e Portogallo. Avere una norma che statuisca un principio di buon senso oltreché di equità non è un lusso o una questione di ideologia.

Proprio per questo, i legali che si occupano di lavoro, anche quelli che rappresentano abitualmente le istanze datoriali, dovrebbero esprimersi in maniera più complessa. Magari spendersi affinché l’alternativa dell’indennizzo sia resa una opzione seria. Ma non fingere di non sapere o non comprendere quali sono le ragioni che oggi fanno apparire totalmente insensata una misura che pretende di ridare slancio alla crescita proclamando il via libera ai licenziamenti. Anche se solo in linea di principio.

Le aziende italiane abbandonano l’Italia non per andare in Paesi dove non esiste l’articolo 18, ma per stabilirsi in giurisdizioni dove il costo del lavoro è più basso e dove sono riconosciuti incentivi fiscali a chi investe, produce e crea ricchezza. L’Olanda e l’Inghilterra, solo per citare Paesi che le nostre poche multinazionali hanno dimostrato di apprezzare, sono diventate attraenti grazie a politiche di incentivi principalmente fiscali.

I simboli sono un asset importante per una società in crisi e con seri problemi di memoria storica. Rottamarli potrebbe rivelarsi un terribile autogol.

nicola.dimolfetta@legalcommunity.it
@n_dimolfetta

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