Dipendenti di fatto, gli avvocati che timbrano il cartellino ma senza tutele
Lavorano anche dieci ore al giorno, spesso nello stesso studio legale in cui hanno svolto il praticantato, percepiscono un compenso mensile fisso, non hanno quasi mai rapporti diretti con i clienti. Di fatto lavorano come dipendenti dello studio, anche se questo rapporto non è quasi mai regolato da un contratto e, almeno nelle forme, sono liberi professionisti. Sono gli avvocati “collaboratori di studio”, ai quali Aiga, Associazione italiana giovani avvocati, ha dedicato un’indagine – intervistandone 448 su tutto il territorio nazionale – che restituisce una fotografia precisa di una categoria sempre più numerosa e sempre meno tutelata dell’universo forense italiano.
SOLO IL 40% PENSA A METTERSI IN PROPRIO
L’indagine Aiga vede prima di tutto sfumare il luogo comune secondo il quale la gran parte dei giovani avvocati aspiri a mettersi in proprio: solo 4 intervistati su 10, infatti, dichiarano di avere l’obiettivo di aprire uno studio, mentre quasi un avvocato su due mira a continuare lungo la strada della collaborazione, in esclusiva o con un minimo margine di autonomia.
Lo studio descrive il rapporto di «cripto-dipendenza» che caratterizza la stragrande maggioranza delle situazioni ed evidenzia come il rapporto di collaborazione tra giovane professionista e studio legale non sia mai regolato da alcun tipo di contratto (79,7% dei casi).
«L’indagine messa in piedi da Aiga mostra dati alla mano che esiste un fenomeno che non è più possibile ignorare: quello di migliaia di avvocati che, pur collaborando stabilmente con un singolo studio legale e percependo un compenso fisso mensile, non possono contare sulle tutele di un lavoro dipendente», sottolinea la presidente dell’Associazione italiana giovani avvocati Nicoletta Giorgi.
IN STUDIO DIECI ORE AL GIORNO
Ma come lavorano oggi i collaboratori di studio? Secondo l’indagine, sia i praticanti sia i giovani avvocati lavorano presso lo studio molto più della media lavorativa di un dipendente subordinato: in genere almeno 10 ore giornaliere. Generalmente il collaboratore si occupa di tutte le attività tipiche della professione: la sostituzione in udienza, la redazione degli atti e l’attività stragiudiziale. Colpisce il fatto che moltissimi collaboratori abbiano dichiarato di non avere visto aumentare la propria autonomia nella gestione delle pratiche di avere comunque molto raramente, anche dopo anni di collaborazione, la possibilità di avere rapporti diretti con i clienti dello studio. Ciò, secondo quanto emerge dal report dell’Aiga, a discapito dell’indipendenza e dell’autonomia della professione che dovrebbe consentire a un avvocato di gestire la difesa e la tutela dei diritti del proprio cliente e non solo di predisporre un atto ad “occhi chiusi” seguendo le mere indicazioni del dominus o del titolare dello studio.
GIORGI: IL FENOMENO VA SUBITO REGOLAMENTATO
«La professione forense – conclude la presidente Giorgi – sta cambiando e assumendo caratteristiche, inquadramenti, specificità nuovi e sempre più differenziati: è tempo di offrire una cornice normativa al passo con tali cambiamenti. Per questo Aiga sottolinea la necessità di intervenire con provvedimenti urgenti e risolutivi, capaci di regolamentare il fenomeno. Esortiamo in primo luogo quegli organismi di autogoverno dell’avvocatura che troppo spesso sembrano dimenticare il reale stato delle cose e le necessità di chi lavora quotidianamente al servizio del cittadino e della giustizia». Il report sarà presentato nel corso del Focus Aiga “Il cambiamento nelle professioni legali” in programma il 15 maggio 2015 a Trani.