Di Tanno: «Mercato difficile per le tax boutique»
«Noi siamo uno studio di specialisti. E qui il punto è: che cosa fanno gli specialisti in questo contesto e qual è l’evoluzione in corso?». Tommaso Di Tanno (nella foto), 68 anni, è reduce dalla mezza maratona di Londra. MAG lo incontra a Milano, durante una delle ultime giornate di sole di questo autunno indeciso, per parlare di mercato della consulenza fiscale e tributaria e della evoluzione del ruolo delle boutique come la sua.
Di Tanno e Associati è un’insegna che conta ormai 31 anni di storia. Il suo fondatore, laureato in Scienze Politiche alla Sapienza, commercialista dal 1979, è una delle icone di questo mercato. Ha insegnato diritto tributario nelle Università di Roma (Tor Vergata), Siena e Cassino ed è docente al Master Tributario dell’Università Bocconi. Ha fatto parte di Commissioni Governative di Studio in materia tributaria e societaria, del Tax and Legal Committee della European Venture Capital Association (EVCA), della Federation Europenne des Experts Comptables (FEE). «La legge sui fondi chiusi mobiliari e immobiliari», ricorda, «è nata in gran parte dalla mia penna».
È stato presidente del Consiglio di Amministrazione di IPI, Sisal e Assicurazioni di Roma. Ha presieduto il Collegio Sindacale di Banca Monte dei Paschi di Siena, della Banca Nazionale del Lavoro, di Caltagirone, di Anima SGR e presiede oggi il Collegio di Vodafone Italia, di EF Solare Italia e il Consiglio di Amministrazione di Central Sicaf.
Prima di dar vita alla sua boutique, Di Tanno è stato dirigente dell’ufficio fiscale di Arthur Andersen a Roma. Pertanto, il professore conosce bene le due facce della medaglia professionale: quella industrializzata delle grandi organizzazioni multipractice e quella più artigianale delle strutture specialistiche. Queste ultime, osserva in quest’intervista Di Tanno, sono state colpite da numerosi cambiamenti di scenario nel corso degli ultimi anni. E oggi si ritrovano a competere in uno spazio di mercato molto più ristretto rispetto al passato.
«La crescita degli studi multipractice», dice Di Tanno, «si è tradotta in una riduzione degli spazi per le cosiddette boutique. Quindi la fascia professionale che noi occupiamo è una fascia il cui mercato si è ridotto dimensionalmente».
Essere boutique ha ancora un senso?
La boutique ha ancora un senso nella misura in cui riesce a caratterizzarsi e a fare quelle cose che il grande studio non riesce a fare o quelle cose su cui il grande studio può fare meno concorrenza.
Ovvero?
Il grande studio è più adatto alla consulenza di carattere generico. Attività in cui si mettono insieme più specializzazioni. Il grande studio è in grado di offrire una multilateralità di approcci. Le attività di consulenza, mi lasci dire, “ordinaria” sono quindi quelle che risultano più appannaggio dei grandi studi. Mentre quelle attività di carattere “straordinario” sono quelle a cui deve essere maggiormente dedicata una boutique specialistica.
Cosa intende con straordinario?
Le attività di carattere straordinario sono rappresentate essenzialmente da tutto ciò che gira attorno al contenzioso e da tutto ciò che ruota attorno alle operazioni straordinarie.
Fatto salvo il contenzioso, le operazioni straordinarie rischiano di produrre un flusso di lavoro discontinuo…
In realtà, questa tipologia di operazioni per molte grandi imprese si fanno tutti gli anni: un’acquisizione, uno scorporo, un acquisto di partecipazioni e così via. Operazioni del genere, nella vita di una grande azienda sono frequenti, non accadono una volta nella vita.
Allora diciamo che i grandi clienti non sono così tanti…
Questo fa sì che alcuni anni possano essere più ricchi e altri possano esserlo meno. Questo fa sì che tendenzialmente la clientela sia meno stabile, proprio perché gli eventi straordinari sono eventi che ricorrono su più teste. E questo, in aggiunta, fa sì che la capacità di intercettare lavoro da parte delle boutique sia più ridotta rispetto a quella del grande studio.
Una congiuntura difficile, insomma. E in prospettiva?
Vedo una crescita dei grandi studi. Una riduzione degli spazi per le boutique. La necessità, sempre per queste ultime, di concentrarsi su alcune tematiche e, last but not least, la necessità di una revisione dell’assetto di questi studi sia sul piano quantitativo, sia su quello qualitativo.
Perché?
Quando parliamo di boutique, oggi, parliamo di organizzazioni che contano 20, 30 e in qualche caso persino 40 professionisti. La caratteristica di queste strutture fino a qualche tempo fa era quella di avere una leva di una certa lunghezza: c’era il partner con 4 o 5 assistenti. Questa cosa non è più possibile. Oggi il rapporto può arrivare al massimo a un partner con due assistenti. E devono essere due assistenti consistenti. Quindi c’è un tema anche qualitativo perché gli assistenti in questo scenario non possono essere stagisti, ma devono essere professionisti con un certo grado di seniority.
E in questo scenario lo studio Di Tanno come si è regolato?
Ci siamo ridotti quanto a numeri e ci siamo elevati, se possiamo dire così, a livello di collaboratori. I nostri associate, oggi, sono di meno rispetto a tre anni fa ma mediamente più senior.
Mentre i partner quanti sono?
Oggi abbiamo 10 partner. Io credo che questa tendenza si andrà sempre più consolidando. Il rapporto arriverà a essere 1:1 o al massimo 1:1,5. Se il lavoro ha queste caratteristiche, l’assistente non può che essere qualificato.
Questo pone anche il tema delle prospettive. Un assistente accetta di restare tale fino a che ha una certa età. Una volta cresciuto, ha bisogno di uno sbocco altrimenti rischia di andare altrove…
Il primo interesse è di valorizzare le risorse dello studio. Se potesssimo trovare una piena rispondenza tra le risorse che crescono con noi e la loro capacità di presentarsi sul mercato questo sarebbe l’obiettivo più coerentemente perseguibile. Ma questa valorizzazione non può essere finta.
Ovvero?
Il collaboratore che deve diventare partner, deve essere un professionista vero Deve trovare, attraverso le sue capacità e relazioni, un nuovo mercato. Non possiamo limitarci a dividere un mercato che già abbiamo tra più teste.
In alternativa ci sono i laterl hire…
Il ricorso a risorse esterne non è un obiettivo ma è un rimedio per quando non riusciamo a valorizzare a sufficienza le risorse interne. Il ricorso a risorse esterne, quindi, è residuale. Anche se questo non significa che ci sia una chiusura nei loro confronti.
La possibilità di inserire un team specilistico in una struttura più amplia e multidisciplinare come la vede?…
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