Di 41-bis, censura della corrispondenza con il difensore e avvocati in Costituzione

di nicola di molfetta

Prima cosa: perdonate il titolo troppo lungo. Ma tant’è, la questione lo richiede. Dopo settimane passate a parlare di buona comunicazione, linguaggio, equilibrio e opportunità, sono rimasto perplesso quando ho visto che della importantissima sentenza della Corte Costituzionale, 18/22, molte associazioni forensi si sono occupate più che per sottolineare il riconoscimento del ruolo dell’avvocato nello Stato di diritto da essa operato, per fare polemica con un giornale accusato di aver intaccato il buon nome della categoria sostenendo che questa decisione aiuterebbe i mafiosi a portare avanti i propri affari con la possibile complicità dei legali.

Non voglio entrare nel merito della diatriba. Dire che l’avvocato di un criminale possa essere considerato in automatico criminale esso stesso è una tesi palesemente insostenibile (e comunque ne avevo già parlato nel mio editoriale sugli avvocati del diavolo). E credo che così, forse, si sarebbero potuti comportare anche gli avvocati “feriti nell’onore” che, invece, avrebbero dovuto cogliere l’opportunità di cavalcare questa pronuncia della Consulta per ribadire una volta di più il ruolo e l’importanza della categoria per la tenuta dell’ordinamento civile e democratico.

La sentenza dello scorso 24 gennaio, infatti, ha ribadito un principio fondamentale che avrebbe dovuto far levare grida di giubilo tra gli avvocati italiani. A cominciare da coloro i quali da anni vanno inseguendo un riconoscimento ancora più esplicito della figura del difensore da parte della Costituzione, invocando una riforma della legge fondamentale.

Al Senato, lo ricordo, giace un disegno di legge (n.1199, presentato il 4 aprile del 2019) che punta alla modifica dell’articolo 111 della Costituzione. Il ddl prevede che si inserisca la frase: «Nel processo le parti sono assistite da uno o più avvocati. L’avvocato ha la funzione di garantire l’effettività della tutela dei diritti e il diritto inviolabile alla difesa. In casi tassativamente previsti dalla legge è possibile prescindere dal patrocinio dell’avvocato, a condizione che non sia pregiudicata l’effettività della tutela giurisdizionale. L’avvocato esercita la propria attività professionale in posizione di libertà, autonomia e indipendenza».

Tuttavia, come emerge chiaramente dalla decisione di cui stiamo parlando, questa norma servirebbe più che altro a ribadire qualcosa che, non solo a mio parere, è già chiaro a molti (a cominciare dai massimi organi di amministrazione della Giustizia) e non può essere messo in discussione.

La Consulta, infatti, statuisce che la professione forense svolge un ruolo insostituibile «per la tutela non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello Stato di diritto nel suo complesso». E nel merito della questione, i giudici della Corte Costituzionale hanno affermato che il «visto di censura sulla corrispondenza del detenuto con il proprio difensore» rappresenta «una irragionevole compressione del suo diritto di difesa». Addirittura, i giudici sembrano aver provato a spegnere sul nascere le polemiche di vago sapore populista che questa pronuncia avrebbe potuto suscitare definendo essi stessi «insostenibile» ogni presunzione di collusione del difensore con l’imputato.

Insomma, la strategia di comunicazione dell’avvocatura all’indomani di una pronuncia così rilevante sarebbe, a mio modesto parere, dovuta essere incentrata sul contenuto rilevantissimo della sentenza emessa dalla Consulta più che sulle critiche espresse (in maniera anche piuttosto isolata nel panorama mediatico) da una singola testata giornalistica a cui s’è finito per fare ulteriore pubblicità.

Buttarla sul confronto muscolare con chi esprime un parere controverso quali conseguenze produrrà? Temo poche e di scarso effetto. Soprattutto sull’opinione pubblica e per l’immagine della categoria. Così come credo che, invece, lavorare sulla divulgazione del principio affermato dai giudici costituzionali avrebbe rappresentato un ottimo esercizio per incidere in maniera efficace sulla narrazione dell’avvocatura nel Paese.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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