Dentons: «Smettere di crescere? Perché?»

Un approccio dirompente. Dentons sta rivoluzionando il mercato dei servizi legali a livello mondiale cercando di affermare un modello di business contemporaneo, caratterizzato da una strttura e una filosofia imprenditoriale molto diversa da quella dei competitor. Dopo la fusione con i cinesi di Dacheng è diventato lo studio più grande del mondo è oggi conta 7.500 avvocati. Dall’inizio dell’anno, Dentons è presente anche in Italia, guidato da Federico Sutti (si veda il numero 52 di MAG). Un’apertura che rientra nella logica di espansione globale dello studio.

Una strategia finalizzata, come spiegano in questa intervista eslcusiva a MAG Elliott I. Portnoy e Joseph Andrew (nella foto), nell’ordine global chief executive officer e global chairman di Dentons, non solo a una crescita quantitativa della law firm, ma anche alla possibilità di garantire ai clienti dello studio la migliore assistenza possibile. I clienti, infatti, sono il fulcro dell’azione dello studio. Sono stati loro, di fatto, a portare Dentons in Italia.

«Abbiamo da sempre considerato l’attività in Italia una priorità strategica», dice Portnoy a MAG, «i nostri clienti da anni ci dicevano quanto fosse rilevante per il loro business il mercato italiano. E per lungo tempo abbiamo cercato le persone giuste con cui avviare una presenza efficace nel Paese». 

In che senso le persone giuste?
Portnoy: Cercavamo persone con profonde relazioni con i clienti e che fossero anche profondamente inserite nel contesto locale.

Non è stato un lavoro facile. Ci avete messo più di qualche anno…
Andrew: Il nostro modello è molto diverso da quello dei nostri concorrenti. Ci siamo presentati come la prima law firm con una struttura policentrica il che significa che rispetto ai nostri concorrenti non abbiamo un quartier generale, non abbiamo una cultura professionale dominante e non abbiamo un modo standardizzato di fare business.

Ok, abbiamo detto cosa non avete rispetto alla concorrenza. Ragionando in positivo, invece, cosa vi distingue?
A: Siamo convinti che un approccio sofisticato al mercato dei servizi legali preveda che gli avvocati siano non solo tecnicamente preparati ma sappiano anche esattamente come chiudere un deal o risolvere una controversia nello specifico contesto di ogni location. Il nostro modello rispetta le differenze culturali tipiche di ogni Paese.

E questo ha avuto un impatto diretto sul vostro ingresso nel mercato?
A: Certo. In generale, noi abbiamo sempre bisogno di trovare persone che sappiano da sole come operare in una determinata location per costruire una storia di successo. Avvocati che siano radicati nella comunità legale locale. Ed è quello che alla fine abbiamo trovato in Federico Sutti e nel gruppo di partner che hanno aperto Dentons in Italia.

P: Le differenze a cui noi diamo tanta importanza, spesso sono viste dai nostri concorrenti come qualcosa da evitare. In alcuni casi, queste law firm producono perfino un vero e proprio “libro delle regole” che dettaglia il loro modo di esercitare la professione e che i loro partner in giro per il mondo devono replicare in maniera pedissequa. Dentons non ha alcun libro delle regole. Noi ci fidiamo dei partner che abbiamo scelto per guidare i nostri uffici.

Quali sono i vostri obiettivi per l’Italia nei prossimi anni?
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