De Berti Jacchia e il suo primo documento di sostenibilità
di giuseppe salemme
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Nel 2014, la direttiva nota come Nfrd (Non-financial reporting directive) ha introdotto il primo obbligo europeo di “rendicontazione non finanziaria”, ad esito della quale circa 11mila soggetti attivi sul territorio Ue (essenzialmente le grandi società quotate o attive nel settore bancario/assicurativo) hanno dovuto iniziare a tenere annualmente un “bilancio di sostenibilità”, con informazioni e dati su impatto ambientale, sociale, lavorativo e umano delle proprie pratiche aziendali.
In Italia, che ha recepito la direttiva con il decreto legislativo n.254/2016, il numero di aziende tenute a questo tipo di reporting è relativamente basso: nel 2020, secondo gli ultimi dati Consob disponibili, erano 151 le aziende quotate sul Mta (oggi Euronext Growth Milan) che avevano pubblicato una dichiarazione non finanziaria (Dnf).
Eppure, gli effetti della direttiva Nfrd hanno da subito interessato realtà anche al di fuori della stretta cerchia di big players individuata espressamente dal dettato normativo. In vista della sempre maggiore esigenza da parte di questi ultimi di certificare la virtuosità dell’intera filiera aziendale, molti soggetti medio-piccoli hanno adottato a loro volta politiche di maggiore trasparenza in materia di sostenibilità e impatto sociale.
Gli studi legali, spesso i più reattivi quando si tratta di intercettare una nuova esigenza della clientela, non hanno giocato d’attesa.
Su queste pagine abbiamo raccontato in passato dei report integrati di studi come Sza o Freebly (rispettivamente su MAG 128 e MAG 170): iniziative non obbligatorie e per questo non scontate. In grado di testimoniare l’attenzione di uno studio, oltre che agli interessi dei clienti e alla trasparenza delle proprie politiche interne, alla propria immagine e ai modi con cui essa viene veicolata al pubblico. E che, tra l’altro, potrebbero tornare utili come “allenamento” in ottica futura: la nuova direttiva Csrd (Corporate sustainability reporting), la cui entrata in vigore è attesa per il 2026, si propone di estendere (oltre che di approfondire) gli obblighi di rendicontazione non finanziaria a quasi 50mila soggetti in Europa.
A metà febbraio, anche lo studio De Berti Jacchia ha pubblicato il suo primo documento di sostenibilità: un nuovo passo nel percorso di social responsibility dello studio, iniziato nel 2017 con l’adozione di una carta dei valori. E che non terminerà qui: lo testimoniano l’adesione dello studio alla Global Reporting Initiative e l’istituzionalizzazione di un team dedicato di professionisti impegnati a rendere la gestione interna dello studio sempre più trasparente. E lo confermano le parole dell’avvocato Roberto A. Jacchia, socio fondatore dello studio, che a MAG ha raccontato la strategia dietro la pubblicazione del documento.
Quali fattori hanno inciso sulla scelta di pubblicare un documento di sostenibilità?
Le motivazioni sono diverse. Il mondo va chiaramente in questa direzione, quindi in generale c’è l’aspettativa che tutti si muovano in questo senso. Soprattutto da parte dei grandi clienti, tenuti a fare il bilancio di sostenibilità obbligatorio e che per questo ci interpellano per sapere se anche noi siamo conformi agli standard delle loro catene del valore. Ma la stessa aspettativa la nutrono ormai anche collaboratori, personale, e la comunità legale in generale: non è solo una questione di “politically correct”. In ultimo, credo che quelli relativi alle attività di reporting diventeranno sempre più anche dei servizi vendibili: sempre più clienti ci chiedono come essere compliant con gli obblighi di sostenibilità o come redigere i bilanci integrati, oltre che come porsi in termini di trasparenza con il personale o i clienti. Tutti aspetti che richiedono una consulenza legale.
Come vi siete mossi per redigere il documento e quanto tempo ha richiesto?
L’intero percorso ha richiesto circa nove mesi. La regia del documento è di Giulia Picchi, fondatrice di Marketude, che cura la nostra comunicazione e ci ha aiutato a mettere insieme i dati e le informazioni che abbiamo ricavato, per poi sistemarle secondo le indicazioni del GRI. Poi il documento è stato fatto circolare tra i soci e anche tra alcuni collaboratori più attenti ai temi ambientali e di sostenibilità, che hanno dato anch’essi il loro contributo.
Prima parlava dell’esigenza dei clienti di verificare che le pratiche dello studio siano rispettose dei loro standard di sostenibilità. Può essere più specifico? Quali sono le richieste più frequenti?
Spesso ci viene chiesto della presenza di un codice etico, che noi abbiamo pubblicato anni fa. Le altre richieste più frequenti sono sulle politiche di gender equality e non discriminazione tra i collaboratori. Poi,..
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