Dario Fo e il suo avvocato inglese

Il 13 ottobre ci ha lasciato uno dei più grandi artisti italiani dell’ultimo secolo, Dario Fo (nella foto). Premio Nobel per la letteratura nel 1997, Fo è stato autore di opere teatrali indimenticabili come Morte accidentale di un anarchico o Mistero buffo.

Quest’ultima era composta da una serie di monologhi recitati in una lingua inventata, il grammelot, che a seconda delle storie da raccontare assume cadenze e inclinazioni diverse.

A noi di legalcommunity.it sta particolarmente a cuore il grammelot dell’avvocato inglese. Un monologo che racconta una storia di ordinaria ingiustizia, in cui, Dario Fo impersona la figura dell’avvocato inglese.

L’avvocato in questione deve difendere un giovane, non nuovo ad atti di violenza carnale sulle donne. Nel “prologo” all’episodio Fo sostiene che nel medioevo e fino alla prima parte della età moderna esistesse una legge per cui il violentatore, scoperto in flagrante da familiari della vittima, potesse cavarsi d’impiccio spargendo velocemente delle monete ai piedi della vittima a mo’ di risarcimento e al contempo recitando una formula rituale che lo rendeva intoccabile per i familiari adirati. In questo episodio il giovane però si trova in una situazione decisamente più scomoda, avendo violentato una ragazza appartenente a una classe sociale più elevata della sua, per la quale risarcimenti e formule valgono poco.
L’avvocato allora dimostrerà la totale innocenza dell’imputato, sostenendo l’esatto opposto della verità, cioè che è stata la giovane a dimostrarsi provocante e che l’accusa di stupro è inconsistente in quanto lei era assolutamente consenziente.

Un pezzo teatrale di grande bellezza, che racconta meglio di mille trattati l’ancestrale sospetto con cui la figura degli avvocati è vista dalla gente e con cui ci piace ricordare il maestro.

 

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