Daniel Calleja, il giurista che scrive le clausole dell’Europa
di julia gil
Nel lessico quotidiano, l’espressione “termini e condizioni” evoca clausole nascoste, piccoli caratteri trascurati che però determinano la sostanza di ogni accordo. In ambito europeo, questi elementi non solo esistono, ma vengono scrupolosamente elaborati, interpretati e difesi dal dipartimento legale della Commissione europea. A dirigerlo c’è Daniel Calleja y Crespo, il funzionario incaricato di sorvegliare la coerenza e la legittimità giuridica dell’intera architettura normativa dell’Unione. Ogni proposta legislativa, regolamento o direttiva deve passare attraverso il vaglio del suo team. Con quasi quarant’anni trascorsi all’interno delle istituzioni europee – in ruoli strategici e alla guida di importanti direzioni generali – Calleja y Crespo è oggi una delle voci più autorevoli in materia di diritto comunitario. Economista di formazione, laureato all’ICADE con un percorso successivo a Londra, ha mosso i primi passi proprio all’interno del dipartimento legale negli anni Ottanta. Da allora ha seguito da vicino l’evoluzione del diritto europeo, accompagnandone trasformazioni profonde e strutturali. In questa conversazione con Iberian Lawyer, racconta l’evoluzione della propria visione del diritto dell’Unione, la complessa organizzazione del suo dipartimento – che conta 350 giuristi operativi nelle 24 lingue ufficiali dell’UE – e le sfide giuridiche che, a suo avviso, segneranno il prossimo capitolo del processo di integrazione europea.
Dopo quasi quarant’anni alla Commissione europea, come si è evoluta la sua visione del diritto dell’Unione nel corso del tempo?
Il diritto dell’Unione europea è il filo conduttore che ha guidato l’intero processo di integrazione europea. Non si limita a disciplinare questioni economiche come il mercato interno, i trasporti, l’energia o l’euro: regola una parte fondamentale la vita quotidiana dei cittadini. Al tempo stesso, tutela i valori fondamentali che definiscono la nostra identità europea, come lo Stato di diritto, e interviene in ambiti sempre più concreti della nostra realtà quotidiana, come la libertà di circolazione o i diritti legati alla cittadinanza europea.
Com’è una giornata tipo nel suo ruolo di capo del dipartimento legale della Commissione europea?
In qualità di direttore generale, la mia missione consiste nel garantire che il dipartimento legale assolva appieno le tre funzioni chiave che gli sono affidate. Anzitutto, agiamo come consulenti legali interni per tutti i dipartimenti della Commissione. In termini concreti, ogni proposta normativa o atto giuridico adottato dall’Unione deve ottenere il nostro parere positivo in merito alla sua legittimità. La seconda responsabilità riguarda la rappresentanza esclusiva della Commissione in sede giudiziaria: siamo noi a difenderne gli interessi sia davanti alle corti europee che davanti ai tribunali nazionali. Infine, ci occupiamo della qualità della legislazione europea, vigilando affinché sia efficace nel raggiungimento degli obiettivi prefissati e coerente in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, per evitare ambiguità o differenze interpretative tra i vari ordinamenti giuridici.
Quanti sono i membri del dipartimento legale e com’è strutturato?
Attualmente il dipartimento legale è composto da 350 avvocati, provenienti dai 27 Stati membri dell’Unione Europea e attivi nelle 24 lingue ufficiali dell’UE. Con circa 3.000 casi aperti al momento, l’organizzazione interna è articolata in 15 team tematici, ciascuno con competenze specifiche in uno dei principali settori del diritto dell’Unione: dalle questioni istituzionali al diritto della concorrenza, dalle relazioni esterne al commercio, fino al mercato interno, solo per citarne alcuni. Uno dei principi cardine del dipartimento legale è la rotazione tra i dipartimenti: una pratica adottata fin dalla sua creazione e tuttora centrale. L’obiettivo è formare giuristi capaci di operare con efficacia in più ambiti del diritto europeo, senza limitarsi a una sola area di specializzazione.
Quali sono le principali sfide che deve affrontare il dipartimento all’interno della Commissione Europea?
Una delle sfide più rilevanti è garantire la difesa e l’applicazione del diritto dell’Unione in un contesto segnato da instabilità globale e crescenti tensioni geopolitiche, che mettono seriamente a rischio lo Stato di diritto a livello mondiale. La Commissione è attualmente impegnata nell’adozione di nuove iniziative volte a rafforzare la difesa europea, promuovere la competitività del continente e raggiungere la decarbonizzazione della nostra economia, oltre a semplificare l’attuale quadro normativo. Tutto questo avviene nel pieno rispetto del diritto vigente dell’UE.
Che tipo di rapporto intrattiene il dipartimento legale della Commissione con gli studi legali e in quali ambiti esternalizzate più spesso i servizi legali?
All’interno del dipartimento legale della Commissione, diamo priorità alla rappresentanza e alla difesa legale svolte con risorse interne. Solo in casi specifici ricorriamo ad avvocati esterni: accade, ad esempio, quando si tratta di materie particolarmente tecniche o specialistiche, come l’arbitrato, oppure nei procedimenti che si svolgono davanti a giurisdizioni di Paesi terzi, dove possono insorgere ostacoli di tipo linguistico. Tuttavia, se la causa tocca direttamente e in modo rilevante gli interessi della Commissione — in particolare nel suo ruolo di custode dei Trattati — è il Dipartimento legale stesso a occuparsi in via esclusiva della rappresentanza.
Come vengono selezionati gli studi e quali aspetti dei loro servizi vengono maggiormente apprezzati?
La Commissione adotta regole interne precise per la selezione di studi esterni, seguendo linee guida che garantiscono trasparenza e imparzialità. Sebbene il costo rappresenti un elemento da considerare, non rappresenta il criterio principale né il più determinante. A prevalere sono piuttosto la competenza e l’esperienza maturata su problematiche specifiche. L’intera procedura, inoltre si svolge nel pieno rispetto delle raccomandazioni della Commissione in materia di conflitti di interesse, con l’obiettivo di assicurare che ogni collaborazione sia orientata esclusivamente al raggiungimento del miglior risultato possibile per l’istituzione.
Come può il quadro giuridico dell’UE garantire stabilità e certezza del diritto in un contesto globale instabile?
L’Unione Europea deve riaffermare i propri valori, poiché sono proprio la pace, la libertà e la solidarietà a costituire le fondamenta del progetto europeo. È fondamentale difenderli e promuoverli oltre i confini dell’UE, soprattutto in un’epoca in cui la realtà ci mostra un contesto geopolitico sempre più multipolare e instabile. Crediamo fermamente in un ordine giuridico internazionale basato sullo Stato di diritto, e l’Europa sarà sempre pronta a collaborare con quei Paesi che condividono questa visione.
Guardando al futuro, quali ambiti del diritto saranno più rilevanti nei prossimi anni all’interno dell’UE?
Tutti i settori del diritto dell’Unione Europea avranno grande rilevanza nei prossimi anni, ma ritengo opportuno sottolineare in particolare la regolamentazione digitale. Dovremo continuare a elaborare risposte giuridiche adeguate all’innovazione tecnologica, come già avvenuto con il Digital Markets Act, il Digital Services Act, l’Artificial Intelligence Act e il Regolamento sulla protezione dei dati. Saranno inoltre fondamentali la normativa sul mercato interno e sull’industria, la semplificazione della regolazione europea, il futuro Regime 28, tutte le disposizioni in materia commerciale e, come sempre, la tutela dello Stato di diritto.
Le nuove generazioni di avvocati sembrano meno attratte dal modello tradizionale di carriera. È necessario ripensare la struttura degli studi legali e delle istituzioni per attrarre i talenti?
La professione forense è in costante evoluzione e oggi, più che mai, gioca un ruolo fondamentale nel garantire la certezza del diritto e nel rafforzare il nostro modello sociale. Agli avvocati è richiesto di affrontare le nuove sfide con eccellenza, rapidità e indipendenza. Per questo, ogni eventuale cambiamento strutturale nella professione deve necessariamente fondarsi su questi principi e puntare a far sì che le nuove generazioni percepiscano l’esercizio dell’avvocatura come un contributo concreto al buon funzionamento dello Stato di diritto.