Dall’azienda allo studio. Parte un nuovo trend?
di ilaria iaquinta
Dall’azienda allo studio legale. L’autunno 2021 sarà ricordato, dagli osservatori del mercato in house, come un periodo foriero di questo tipo di passaggi che, più frequentemente, si realizzano all’inverso. È più comune, infatti, che gli avvocati lascino la libera professione per dedicarsi alla carriera di giurista d’impresa. Lo evidenziano le rilevazioni annuali condotte da MAG sui cambi di poltrona (si veda MAG N. 152) e, più semplicemente, i curricula dei legali in house, nei quali sempre più spesso è possibile trovare almeno un’esperienza all’interno di una law firm.
In ogni caso, nella storia del mercato dei servizi legali non sono mancati anche gli spostamenti dall’azienda al libero foro. Diversi ex in house sono alla guida o comunque ricoprono un ruolo di primaria importanza all’interno di studi d’affari; tra questi, ad esempio, Carlo Gagliardi oggi managing partner di Deloitte Legal e Bruno Cova partner e membro dell’executive committee di Delfino e associati Willkie Farr & Gallagher. Anche il grande Sergio Erede fu, tra il 1965 e il 1969, direttore dell’ufficio legale di IBM.
Certamente, però, la frequenza di questi spostamenti è minore rispetto a quella che si registra dagli studi alle aziende.
Considerando, quindi, che durante la stagione che volge al termine sono avvenuti almeno tre passaggi di general counsel (gc) di peso verso un’insegna legale – Ugo Ettore Di Stefano che da Mondadori è entrato in Lexellent, Michelangelo Damasco passato a EY da Toto Holding e Franco Guariglia approdato a Franzosi Dal Negro Setti da Barilla – MAG ha voluto fare il punto sull’argomento coi protagonisti di questi spostamenti e una head hunter, Maurizia Villa, managing partner di Korn Ferry Italia.
Il trend
Ci troviamo davanti a una tendenza destinata a proseguire anche nei mesi a venire? A pensarla così sono sicuramente Di Stefano e Damasco. «Non so se sia un trend – dichiara invece Guariglia – , sicuramente è frutto di un dialogo arricchente tra i due mondi e che auspicabilmente deve continuare al pari di quanto accade ad esempio negli Stati Uniti, poiché crea cross fertilization, accomuna le esperienze legali, diffonde la cultura aziendale nella libera professione e viceversa».
È più cauta Villa, secondo cui, più che di una tendenza si tratta di fenomeni legati a contingenze aziendali (come il cambio del cda o dell’ad), alle relazioni intessute per anni coi legali esterni (che rendono questi cambi una naturale prosecuzione di una collaborazione datata e caratterizzata da stima reciproca) e a scelte personali. Un punto, quest’ultimo, su cui concordano tutti gli intervistati.
Le motivazioni
«Nel mio caso – racconta Guariglia – dopo trent’anni in Barilla come general counsel si era sempre più accentuata la componente manageriale dell’attività; volevo tornare a occuparmi più intensamente di diritto e, al contempo, offrire allo studio la mia esperienza nella gestione delle persone e delle esigenze dei clienti». In azienda, aggiunge Di Stefano: «si entra come legali e si diventa manager. Una volta che si diventa gc e si è arrivati ai vertici aziendali, è difficile crescere trasversalmente. Si raggiunge un livello in cui ci si sente parte dal business e si è preparati per contribuire alle strategie della società ma, agli occhi di chi sta ai vertici, paradossalmente si rimane dei tecnici. In uno studio legale, invece, se si diventa soci, si può avere una funzione preziosa, diventando imprenditori della propria attività. In più si ha l’occasione di spaziare nei settori e nei mercati e di mettere a frutto i contatti e l’esperienza di attenzione al cliente sviluppata negli anni».
«Volevo valorizzare le mie competenze, guardare il mondo con occhi diversi, sfruttando l’universo di EY, fatto di esperienze mondiali e con un focus attento ai business aziendali – dichiara Damasco –. Le big four, a differenza degli studi tradizionali, sono più aperte a un’offerta di servizi integrata e completa e dispongono di capacità globali che in azienda non si hanno».
Più in generale, aggiunge Villa: «Non ci sono molte grandi corporations nel mercato italiano e piuttosto che entrare in una multinazionale con sistema di riporti a matrice, che risulterebbe riduttivo a chi per anni si è relazionato con l’ad o il cda, si sceglie di andare in uno studio. Le alternative sono spostarsi all’estero, con la difficoltà aggiuntiva di dover lavorare in una giurisdizione diversa, o nei fondi di private equity che investono in realtà con dimensioni tali da non richiedere professionalità molto senior. Dunque, quello verso uno studio legale può diventare anche un passaggio obbligato».
A lungo termine
La law firm è un paracadute (si veda MAG N. 3), una realtà amica dove ricollocarsi? «Nessuno ti tiene per gratitudine – risponde Di Stefano – . O si è in grado di portare valore o il rapporto che si stipula è a tempo. Sconsiglio a chiunque di considerare questa ratio perché, è garantito, non premia». La vera domanda, secondo Villa, è piuttosto se…
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