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“Chiedilo alla chat”. Il gergo legale potrebbe presto arricchirsi di una nuova espressione ricorrente. Nelle ultime settimane il servizio di “chiacchiere” online con l’intelligenza artificiale ha attirato parecchia attenzione. Noi gli abbiamo dedicato un primo approfondimento su questo numero di MAG, curato da Giuseppe Salemme. Molto ancora, però, ci sarà da raccontare. Ne siamo convinti. Ma c’è un dato che già adesso non si può ignorare e che spiega questo picco d’attenzione. Il robottino funziona. Scusate, la dico così, non tanto per svilire il progresso raggiunto, quanto piuttosto per mettere in chiaro che stiamo parlando di una tappa fondamentale nel percorso di affermazione della tecnologia nell’esercizio delle funzioni legali.
Quando ho scritto Lex Machine, nel 2019, questa prospettiva era ancora di là da venire. Parlare di legal tech significava ancora parlare di strumenti (se preferite prodotti), ad alto tasso tecnologico, capaci di semplificare la vita di qualunque avvocato avesse avuto la voglia e i soldi per utilizzarli. Usare un tool per sbrigare una due diligence in una frazione di tempo rispetto al solito era (ed è) come usare una email per comunicare con un proprio cliente in maniera istantanea, anziché aspettare i tempi tecnici (e fisici) delle poste d’antan. Ma la teconologia Gpt-3 sta cambiando il paradigma. Oggi cominciamo a fare esperienza di una macchina capace di interagire con l’essere umano in modo semplice, naturale, immediato e di collaborare fattivamente alla realizzazione di un lavoro. Anche di un lavoro che, come quello dell’avvocato, presume anni di studio e una specifica preparazione professionale.
Permettetemi una parentesi. Nei giorni scorsi, ho toccato il tema con qualche amico legale. La risposta a questa mia osservazione è stata, in più di un caso: «Sarei molto più preoccupato per voi giornalisti». Ed è vero. Siamo tutti sulla stessa barca. Ma questo c’entra poco con il nocciolo della questione, a meno che non vi basti farvi consolare dal mezzo gaudio derivante dal cosiddetto mal comune. Posto che quello che stiamo vedendo è ancora poco più che l’inizio, di una cosa possiamo essere tutti certi: la prima cosa che l’intelligenza artificiale farà, sarà appropriarsi di qualsiasi attività routinaria, complitiva, priva di addendi creativi ed elaborazione complessa. La chat di cui parliamo sa fare tante cose, ma commette anche molti sbagli. Per ora, ha bisogno di essere accompagnata da una guida esperta. E sapete una cosa divertente? Lo sa. Ne è consapevole. E quando capita che sbagli, lo ammette, senza problemi, senza accampare giustificazioni, come invece fanno solitamente i suoi interlocutori in carne e ossa. In ogni caso, se sbaglia, lo fa una volta. Poi impara. E questo, in maniera progressiva, comporterà l’inevitabile erosione di piccole porzioni delle aree di competenze finora riservate agli iscritti agli albi.
Per tornare agli avvocati in modo esplicito: sono anni che parliamo della necessità di riorganizzare ruolo e funzioni degli appartenenti alla categoria, alla luce di una progressiva commoditizzazione di numerose aree di attività. Questo processo, finora lento e non uniforme, potrebbe subire presto un’improvvisa accelerazione anche per via del fatto che molte funzioni legali interne alle aziende clienti potranno facilmente “assumere” questi avvo-robot, capaci di sbrigare (inizialmente) faccende di base e imparare in fretta tutto il resto. La categoria ha bisogno di riavviare il suo assetto. Digitare i tasti Control Alt e Canc della sua organizzazione e ridefinire ruoli e limiti all’impiego di questi strumenti. In particolare la responsabilità delle azioni (non mi sembra ancora opportuno parlare di decisioni) delle macchine, dovrà essere una delle prime a essere definite per consentire uno sviluppo adeguato dell’integrazione di questi strumenti nell’attività quotidiana di uno studio legale. Eviterei, invece, il tentativo di alzare barriere o imporre divieti, soprattutto se dettati esclusivamente da finalità protezionistiche. Non funziona. Lo abbiamo già visto.
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