Coronavirus e oneri contrattuali: cosa succede
di Marco Torsello*
Si moltiplicano i casi in cui il Covid-19 (Coronavirus), oltre ad un fattore di rischio per la salute di milioni di persone sul pianeta, rileva anche come fattore di grave turbamento dei rapporti commerciali. Per citare solo qualche esempio, si pensi all’impresa italiana la cui attività produttiva risulti bloccata per il mancato approvvigionamento di componenti essenziali da fornitori cinesi o per la diffusione del virus tra i propri dipendenti; ma si pensi anche a quella stessa impresa produttrice che, costretta ad approvvigionarsi da fonti diverse a prezzi enormemente superiori, veda completamente eroso il proprio margine di guadagno rispetto ai contratti con i propri clienti, conclusi mesi prima ad un prezzo che non teneva conto dell’impatto del virus. Ed ancora: si pensi alla situazione in cui, avendo il produttore italiano ritenuto di poter essere esonerato da responsabilità per il ritardo nelle consegne, si veda condannato al risarcimento di ingenti danni da una decisione resa nel paese di un proprio cliente, di cui quest’ultimo chieda poi il riconoscimento e l’esecuzione in Italia.
Questi e molti altri possibili esempi danno conto degli effetti dirompenti che il virus Codiv-19 sta avendo e potrà avere sulla capacità delle aziende di adempiere in modo corretto alle proprie obbligazioni. Talvolta l’adempimento si presenta come materialmente impossibile, per la situazione di fatto o per disposizioni normative o regolamentari emanate da pubbliche autorità (le recenti disposizioni del governo di cui al DPCM dell’8 marzo 2020 ne sono un esempio), talaltra il mutamento delle circostanze di fatto rende l’adempimento, pur materialmente ancora possibile, particolarmente oneroso per l’una o l’altra parte del contratto.
La drammatica situazione che oggi viviamo ripropone, in termini parzialmente nuovi, una tematica ben nota al diritto dei contratti e particolarmente delicata in relazione ai contratti internazionali. Si tratta di stabilire quali siano, nei contratti di durata, le conseguenze di imprevedibili mutamenti delle circostanze di fatto intervenuti tra il momento della stipulazione del contratto e quello della sua esecuzione e idonei ad alterare significativamente l’equilibrio contrattuale. Si contrappongono, al riguardo, da un lato, l’esigenza di tener fermo il vincolo contrattuale, in ossequio al principio pacta sunt servanda, e, dall’altro, l’esigenza di consentire un adattamento del contratto a fronte del sopravvenuto mutamento delle circostanze, come se il contratto dovesse sempre considerarsi implicitamente sottoposto ad una clausola rebus sic stantibus.
La soluzione giuridica applicabile dipende, da un lato, dalla presenza o meno nel contratto di una clausola specificamente dedicata alle sopravvenienze contrattuali e, dall’altro, in caso di mancanza di tale clausola, dal diritto nazionale o dalla fonte sovranazionale applicabile al contratto.
In assenza di qualsivoglia clausola contrattuale, la soluzione va cercata nelle norme (spesso assai diverse) previste dal diritto nazionale applicabile al contratto; ovvero, in caso di compravendita internazionale disciplinata dalla Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili, ai sensi della quale la parte tenuta alla prestazione non è soggetta a responsabilità risarcitoria nell’ipotesi di un impedimento sopravvenuto, imprevedibile al momento della conclusione del contratto e le cui conseguenze non siano evitabili o superabili nel momento in cui l’adempimento è dovuto. Quanto ai diritti nazionali, una soluzione universalmente condivisa è quella di consentire l’esonero da responsabilità nell’ipotesi di impossibilità assoluta della prestazione (ad esempio, nel caso di ordine della pubblica autorità che disponga il divieto di talune prestazioni in funzione del contenimento del virus). Le soluzioni offerte dagli ordinamenti nazionali, invece, differiscono rispetto a situazioni in cui la prestazione contrattuale sia ancora possibile, ma sia divenuta estremamente onerosa. A fronte di ordinamenti, come quello italiano e quello cinese, che contemplano l’ipotesi della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione (una soluzione analoga, da tempo accolta in Germania, è stata recentemente introdotta anche in Francia con la riforma del Code civil del 2016), esistono ordinamenti, come quello inglese e quelli americani, che considerano il contratto come uno strumento di allocazione dei rischi tra le parti, di modo che, in assenza di un’espressa clausola contrattuale al riguardo, la parte che assume l’obbligo di adempiere una prestazione, assume anche il rischio che l’adempimento di tale prestazione divenga significativamente più oneroso.
Anche in ragione delle differenze riscontrabili tra i diversi ordinamenti, la maggior parte dei contratti internazionali affronta esplicitamente il tema delle sopravvenienze contrattuali attraverso la previsione di un’apposita clausola (c.d. clausola di force majeure, o clausola di hardship), dal cui tenore dipende la disciplina applicabile al sopravvenuto mutamento delle circostanze di fatto.
Queste clausole, spesso ispirate delle model clauses di force majeure e di hardship predisposte dalla Camera di commercio internazionale, sono costruite intorno a tre fondamentali nozioni, la cui interpretazione è determinante per l’individuazione della soluzione concretamente offerta alle parti.
In primo luogo, la clausola identifica, in modo più o meno dettagliato, e con elencazione aperta o chiusa, gli eventi che rendono applicabile la clausola stessa: si tratta, dunque, di verificare se tra gli eventi contemplati (quali guerre, catastrofi naturali, disposizioni legislative e regolamentari) rientrino anche ipotesi quali “epidemie”, “mass diseases”, o simili, tali da poter essere applicate alla situazione di diffusione del virus Covid-19. In secondo luogo, la clausola descrive le conseguenze dell’evento, offrendo, dunque, il riferimento per determinare se l’evento sopravvenuto rileva solo a condizione che abbia reso la prestazione impossibile in modo assoluto, ovvero anche nel caso di maggior onerosità sopravvenuta della prestazione. Infine, la clausola può prevedere i rimedi offerti alle parti, che possono includere il diritto a sospendere temporaneamente l’esecuzione del contratto, l’esonero da responsabilità risarcitoria per la parte inadempimento, l’obbligo delle parti di rinegoziare il contratto, l’attribuzione del potere di adeguamento del contratto ad un terzo o al giudice, o il potere della parte onerata di svincolarsi dagli obblighi di cui al contratto invocandone la risoluzione.
Ciò che è chiaro è che il rimedio contrattuale eventualmente previsto dal contratto può avere l’effetto di ridistribuire tra le parti l’onere determinato dall’impatto del virus Covid-19, ma non può eliminare quell’onere o la perdita che ne deriva. Se il venditore può sciogliere il contratto divenuto oneroso, ad esempio, l’acquirente si trova verosimilmente nella condizione di dover stipulare un nuovo contratto alle nuove condizioni, di modo che l’onere finisce semplicemente per essere spostato da una parte all’altra e la gravità dell’impatto economico complessivo del virus sull’economia mondiale rimane comunque inalterata.
*Arblit