INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO FORENSE

Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza resiste al contagio da Covid19?

di Elena Jannuzzi e Annalisa Regi*

 

Come noto, in data 12 gennaio 2019 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Legislativo n. 14 (la cui entrata in vigore è prevista in data 15 agosto 2020), meglio conosciuto come “Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza”, che sancisce definitivamente il superamento della funzione afflittiva e sanzionatoria del fallimento alla base del regio decreto numero 267/1942.

Superfluo rammentare che negli ultimi decenni in materia fallimentare si sono susseguiti tutta una serie di interventi legislativi che, ancorchè non abbiano condotto ad una lettura sistematica ed organica della normativa e delle esperienze maturate nei tribunali, hanno tuttavia impresso alla normativa fallimentare un’accelerazione costante, finalizzata a renderla sempre più rispondente alle esigenze del mercato colpito da una grave situazione di crisi economico-finanziaria a livello globale.

Ci si è infatti resi conto che non aveva più senso sanzionare l’imprenditore in difficoltà e che invece sarebbe stato più costruttivo e satisfattivo anche nell’ottica della miglior tutela dei creditori perseguire l’obiettivo di favorire, ove possibile, la continuità aziendale.

Al fine di poter comprendere il cambiamento di prospettiva della normativa fallimentare, emblematica è la sostituzione – operata dal nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza – del termine “fallimento” con la locuzione “liquidazione giudiziale”.

A ben vedere, non si tratta semplicemente di una questione semantica, ma di un cambiamento nel modo di concepire l’imprenditore insolvente, che non è equiparato ad una strega da mettere al rogo, ma che viene considerato come un soggetto degno di essere reintegrato nel contesto sociale ed economico, dopo aver ovviamente provveduto a sanare la propria posizione debitoria.

Si è voluto così definitivamente abbandonare quella connotazione negativa, che correlava al fallimento e soprattutto al fallito un disvalore sociale, privilegiando un atteggiamento di risanamento. Insomma, l’insolvenza viene considerata quale rischio insito e fisiologico dell’attività di impresa, di cui si può (rectius: si deve) tenere conto.

Con il nuovo Codice si è voluto ribadire l’importanza di garantire la continuità aziendale di un’impresa in crisi rispetto all’alternativa fallimentare, che è divenuta uno strumento marginale, cui ricorrere solo e soltanto quale extrema ratio a seguito dell’esperimento infruttuoso di altre soluzioni.

Non è un caso poi che non si parli più di concordato fallimentare, bensì di concordato liquidatorio.

Più in particolare e in estrema sintesi, il nuovo codice della crisi di impresa e dell’insolvenza mira a cercare di prevenire le situazioni di crisi tramite “procedure allerta e di composizione assistita della crisi”, finalizzate ad anticipare l’emersione della crisi di impresa, a costituire un valido strumento di sostegno diretto ad analizzare le cause alla base della sofferenza economica e finanziaria dell’impresa, nonché a fornire un servizio di composizione della crisi funzionale alle trattative per il raggiungimento dell’accordo con i creditori.

Il che sta più semplicemente a significare che il leit motiv del nuovo impianto normativo è certamente quello secondo cui la prevenzione della crisi di impresa assurge a modalità di gestione della crisi stessa.

Tanto premesso e rappresentato, giova rammentare che i presupposti affinchè si possa gestire una situazione di crisi attraverso la sua prevenzione sono la concreta possibilità di poter prevedere la crisi e la disponibilità in capo all’impresa di risorse sufficienti tali da permetterle di fronteggiare le difficoltà createsi con adeguate scelte gestionali orientate, laddove possibile, al mantenimento della continuità aziendale.

La drammatica situazione di emergenza sanitaria ed epidemiologica che stiamo vivendo a livello mondiale e che, per quanto qui di maggiore interesse, ha letteralmente bloccato e paralizzato l’Italia, rende a nostro avviso inattuabile l’applicazione del nuovo Codice.

Senza scomodare le statistiche, possiamo facilmente ipotizzare che la maggior parte delle società attualmente sottoposte a procedure concorsuali non sarà in grado di adempiere ai pagamenti previsti nel piano concordatario o nell’accordo di ristrutturazione dei debiti e, conseguentemente, fallirà.

A questo numero si deve aggiungere quello delle imprese che, dopo lo tsunami scatenato dal Covid- 19, non saranno in grado di accedere alle procedure concorsuali e che finiranno quindi inevitabilmente con il fallire con tutte le inevitabili ricadute economiche e sociali.

Ci troviamo a doverci confrontare con una pandemia che, come tale, non ha paralizzato solo l’Italia, ma anche il resto del mondo, interrompendo di fatto il meccanismo domanda/offerta.

Se questa è la situazione, ci troveremmo pertanto nostro malgrado a doverci confrontare con una miriade di fallimenti, scenario che il nuovo Codice si era prefisso l’obiettivo di scongiurare. Siamo dunque tornati nella medesima situazione in cui si trovava l’Italia all’epoca dell’emanazione del regio decreto, pur nella consapevolezza, ormai acquisita, che il debitore insolvente non è da perseguire quale fosse il virus responsabile dell’epidemia.

Per fronteggiare una simile catastrofe, occorrerebbe, come già osservato, l’equivalente di un piano Marshall. Ora, non essendo realistico ipotizzare che qualcuno possa venire in nostro aiuto, sarebbe a nostro avviso auspicabile instaurare sin da subito – pur in assenza di dati reali, ma sulla base di sole previsioni – tavoli tecnici che possano fornire suggerimenti concreti per la migliore risoluzione di questa situazione drammatica.

È ovvio che tali tavoli tecnici non dovrebbero essere circoscritti all’ambito nazionale, ma dovrebbero essere quantomeno concepiti in una dimensione europea.

Gli economisti si stanno già confrontando su quale sia il metodo più efficace per poter fronteggiare la situazione sotto il profilo finanziario; dal canto loro, i giuristi non potranno rimanere inerti ad aspettare di capire quali e quanti contributi economici saranno erogati senza intraprendere alcuna iniziativa. A onor del vero, autorevoli autori si sono già espressi nel senso di uno slittamento dell’entrata in vigore del nuovo Codice per permettere ai professionisti del settore di continuare ad operare in una comfort zone, avvalendosi di norme che ben conoscono.

A parere di chi scrive, lo scenario che si verrà a delineare sarà talmente destabilizzante che il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza non potrà purtroppo trovare applicazione per la mancanza dei presupposti che l’hanno ispirato; occorrerà uno stravolgimento anche nel modo di pensare le norme giuridiche e iniziare già a ipotizzare soluzioni rispondenti al nuovo scenario.

Del resto, come ognuno sa, diritto ed economia sono scienze tra loro correlate, perché entrambe dirette a organizzazioni complesse di persone e di beni; è quindi giusto ed opportuno che si muovano parallelamente per fronteggiare l’emergenza che ci ha colpito.

*Studio penale Jannuzzi&Regi.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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