Clienti, persone e tecnologia: il manifesto di Monastiriotis per Simmons & Simmons
Si chiama Emily Monastiriotis e ha da poco assunto la guida di Simmons & Simmons diventando managing partner a livello globale. Porta con sé una visione chiara e ambiziosa per il futuro dello studio. In questa intervista con MAG, in occasione del suo primo viaggio a Milano nel nuovo ruolo di leader della law firm, Monastiriotis condivide le sue priorità: mettere il cliente al centro, valorizzare le persone, investire nell’innovazione tecnologica e puntare su una crescita sostenibile e strategica. Con uno sguardo internazionale ma ben ancorato alle specificità locali, Monastiriotis parla del ruolo chiave dell’Italia nel network dello studio, della forza delle alleanze nei mercati globali e della scelta di non avere una presenza diretta negli Stati Uniti. Racconta anche del suo percorso personale, della cultura inclusiva che vuole promuovere e di come l’uso intelligente dell’intelligenza artificiale possa trasformare davvero la professione legale, rendendola più efficiente e umana al tempo stesso.
Com’è lo stato attuale del mercato legale in Europa e in Italia? Quali sono i trend e le prospettive future?
L’Italia è un mercato legale chiave in Europa, dove Simmons è presente da 30 anni, con Milano come sede strategica. Il contesto si sta aprendo sempre più agli studi internazionali. Noi puntiamo su settori specifici: asset managers and investment funds, Healthcare & life sciences, TMT, energia, risorse naturali, infrastrutture e costruzioni. Sono ambiti centrali anche per l’economia italiana, da cui l’importanza del nostro ufficio in Italia.
Tutti parlano degli Stati Uniti. Qual è la vostra strategia rispetto a quel mercato?
Non abbiamo una presenza legale diretta, ma collaboriamo con un gruppo selezionato di studi americani. Offriamo loro il “resto del mondo”, in particolare in Asia, dove molte firm USA si stanno ritirando. Questo approccio ci distingue e si sta rivelando vantaggioso, specie in un momento di tensioni geopolitiche.
Quindi si può essere globali senza presenza diretta negli USA?
Assolutamente sì. Alcuni studi sono forti globalmente grazie alla loro presenza in UK o in settori specifici. Noi ci collochiamo in mezzo, con relazioni strategiche che ci permettono di offrire copertura internazionale ai nostri clienti, puntando su Asia e Medio Oriente (abbiamo appena aperto in Arabia Saudita).
Quali sono le sue priorità alla guida dello studio?
Il mio piano si fonda su quattro pilastri. Primo: i clienti. Senza di loro non esisteremmo. Puntiamo sui nostri settori di forza e stiamo rafforzando il nostro programma clienti globali. Secondo: le persone. La nostra è una cultura ad alte performance, ma anche molto attenta al supporto e alla crescita individuale. Offriamo mentoring globale e programmi come Stars per sviluppare talenti e aspirazioni. Terzo: innovazione e tecnologia. Siamo stati pionieri con l’acquisizione di Wavelength e abbiamo sviluppato un nostro LLM, Percy. Crediamo in un uso strategico dell’AI sia per l’efficienza interna che per i servizi ai clienti. Quarto: crescita sostenibile. Non cerchiamo la crescita fine a sé stessa, ma quella redditizia, in linea con le nostre aree di competenza.
Ha sempre lavorato in Simmons?
No, sono cresciuta in Grecia, poi mi sono trasferita nel Regno Unito. Ho iniziato in uno studio specializzato in costruzioni, poi sono passata a Mayer Brown. Nel 2017 sono entrata in Simmons a Londra come esperta di construction e dispute resolution. Da lì, ho assunto ruoli sempre più internazionali.
Simmons ha una lunga tradizione di leadership femminile?
Sì, Dame Janet Gaymer è stata una delle prime senior partner donna di un grande studio globale, già nel 2001. La presenza di role model femminili è fondamentale: ho tratto ispirazione da donne che conciliavano carriera e famiglia. Oggi, una di loro lavora con noi: un bel cerchio che si chiude.
La tecnologia renderà i servizi legali più accessibili?
Dipende. Le grandi firm possono investire in AI, ma è difficile cambiare processi interni. Le piccole sono più agili, ma hanno meno risorse. Simmons ha nel suo DNA l’innovazione: vendiamo soluzioni tecnologiche da anni e usiamo l’AI per semplificare attività ripetitive, liberando risorse per compiti a maggior valore. Con Wavelength e team multidisciplinari, puntiamo a gestire incarichi complessi in modo distintivo.
E quindi la tecnologia è un fattore di efficienza, non solo di riduzione costi?
Esattamente. L’AI ci permette di concentrare le risorse sulle attività che contano. Un esempio concreto: prima un trainee prendeva appunti nelle riunioni, ora lo fa Copilot. Il risultato? Il trainee si occupa di task più utili allo sviluppo professionale. Questo è il futuro: usare bene le persone, supportate dalla tecnologia.
Cosa direbbe ai fondi di private equity interessati al settore legale?
Il nostro è un business basato sulle persone. Simmons è una partnership globale con un unico bilancio, senza strutture federali. Questo ci consente una reale collaborazione tra uffici. I PE sono attratti dalla redditività, ma credo che il loro intervento sia più probabile in studi piccoli o in settori tech. Il nostro modello non richiede quel tipo di investimento, ma non escludo spin-off tecnologici che possano attrarre capitali esterni.
In cosa investe oggi Simmons?
Nelle persone, prima di tutto. Ma per farlo servono relazioni forti con i clienti. Continuiamo a investire in AI, ma l’obiettivo ora è aumentare la profondità dell’adozione, non solo la quantità di accessi. Vogliamo che venga utilizzata in modo efficace, al massimo del suo potenziale.
E sul fronte DEI, in un momento delicato, specie negli Stati Uniti?
Trovo sconvolgente che la diversità venga vista come un problema. Simmons crede fermamente nel valore di una cultura inclusiva in ogni sua forma: genere, etnia, neurodiversità, background sociale. Abbiamo obiettivi chiari di mobilità sociale e non intendiamo fare passi indietro. Io stessa sono il frutto della mobilità sociale e voglio che la nostra forza lavoro rifletta questa diversità.
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