Se i clienti dicono agli avvocati come lavorare

di nicola di molfetta

 

«Quando sono nella mia stanza e sono impegnato nello studio di una causa o nella preparazione di un contratto, spengo tutti i telefoni, metto l’orologio in un cassetto della scrivania e mi dedico a quello che ho da fare senza ammettere alcuna distrazione». Ricordo queste parole come se l’avvocato che le ha pronunciate me le avesse dette ieri. Eravamo a Torino. E l’avvocato rivendicava il suo diritto/dovere a rimbalzare ogni possibile fonte di disturbo per poter svolgere al meglio il suo compito. Poco importava se l’intromissione provenisse da un altro cliente. Nulla contava il fatto che questi potesse risentirsi del fatto di essere stato cortesemente invitato a mettersi pazientemente in fila. Altri tempi. È vero. Ma non parliamo di secoli fa.

“Lo studio è mio e lo gestisco io”? Attenzione, non è più così. Nel bene e nel male. Almeno a giudicare dall’onda di richieste di compliance che dal mercato arriva ai consulenti sul fronte Esg e Csr. La responsabilità sociale e di governance, prima ancora di quella ambientale, a cui sempre di più i grandi clienti si richiamano ricade a cascata sulle organizzazioni legali che vogliono continuare a fornire ad esse i loro servigi.

La questione è decisamente rilevante perché implica grandi riforme nell’organizzazione delle strutture in cui operano gli avvocati d’affari (e non solo). Essere o meno compliant rispetto a determinati standard e policy che i clienti osservano rigorosamente, da oggi in poi, farà la differenza tra la possibilità di essere ancora nel loro panel di studi di riferimento oppure no.

Ovvio che nessuno obbliga nessuno a fare alcunché. Eppure, se chi decide di seguire determinati standard nella organizzazione della propria struttura si pone l’obiettivo di avere a che fare con partner fatti a propria immagine e somiglianza, allora è evidente che gli spazi lasciati all’autonomia gestionale sono destinati a restringersi sempre di più.

Non parliamo di fantascenari legali. In questo numero di MAG la collega Ilaria Iaquinta racconta nel dettaglio la “Lettera agli studi e consulenti legali” inviata dal Legal Regulatory and Compliance Affairs di Eni Gas e Luce. Vi invito a leggerla con grande attenzione (sempre che non siate già tra coloro i quali l’hanno ricevuta). Si tratta di un documento di grande rilevanza perché ci dà una chiara misura di fino a che punto si può spingere l’aspettativa dei clienti rispetto alla capacità di uno studio legale di essere Esg o Csr compliant.

Nella missiva si chiede non solo una generica attenzione alle tematiche della diversity, dell’equilibrio di genere e delle pari opportunità. Ma si entra anche nella organizzazione del lavoro dello studio legale invocando il diritto alla disconnessione, suggerendo di non fare più 5 riunioni al giorno, di limitare il contenzioso e di impegnarsi alla semplicità e alla chiarezza nella predisposizione di accordi negoziali e contratti. Si chiedono azioni concrete, non dichiarazioni di principio.

Si tratta di un caso isolato? Non siamo (ancora) in grado di dirlo con assoluta certezza. Si tratta di un benchmark a cui potranno fare riferimento o dal quale potranno trarre ispirazione anche altre realtà? Non possiamo affatto escluderlo. Anche perché l’iniziativa promossa dalla società del Gruppo Eni si inserisce in un contesto storico, sociale ed economico dove il ritorno alla centralità della persona è un obiettivo che qualifica sempre di più il purpose di ogni organizzazione che voglia consolidare il proprio posizionamento di mercato investendo anche sulla reputazione.

E gli avvocati?

A loro non resta che osservare, ascoltare e poi agire di conseguenza.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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