CHI VUOLE FARE (ANCORA) L’AVVOCATO?
di giuseppe salemme
Su Reddit, social network molto popolare nei paesi di lingua inglese, gli utenti hanno creato una sezione chiamata “lost generation”, che conta quasi 400mila iscritti, principalmente tra millennials e gen-Z. L’espressione “generazione perduta” vorrebbe riferirsi a tutti quei giovani a cui le circostanze storiche ed economiche precludono l’ingresso nel “mondo dei grandi”. Fu resa celebre da Hemingway, che la usò in riferimento ai ragazzi costretti a combattere nelle trincee della Prima guerra mondiale. Mentre il parallelismo cercato dagli utenti del social (fatte le debite proporzioni) sarebbe quello con una generazione cresciuta in un’epoca segnata da crisi economico-finanziarie, ambientali e sanitarie, e in un mondo in cui la forbice delle disuguaglianze, sempre più larga, toglie spazio a quei giovani in cerca di un’opportunità per farsi valere e trovare il proprio posto nel mondo. La bio del gruppo in questione recita: “Abbiamo fatto tutto quello che ci è stato detto di fare… e ora?”.
LOST GENERATION FORENSE
A leggere l’ultimo rapporto Cassa Forense-Censis sull’avvocatura italiana, si potrebbe essere tentati dall’affibbiare un’etichetta simile anche ai giovani avvocati entrati nel mercato del lavoro negli anni 2000.
Perché certo, la contrazione dei redditi della classe forense (e del volume del mercato dei servizi legali in generale) è un dato che riguarda tutti; così come tutti sono colpiti dai momenti di difficoltà economica o geopolitica. Ma il rapporto sottolinea proprio come siano le nuove generazioni, con donne e residenti al Sud in testa, a risentirne di più (si veda il box). Gli effetti sono già visibili: per la prima volta, gli avvocati in Italia diminuiscono. E uno su tre valuta l’abbandono dell’attività.
Si può parlare di disaffezione dei giovani verso la carriera forense? Su MAG, dopotutto, sottolineiamo da mesi le difficoltà che gli studi legali stanno incontrando nel reclutare nuove forze (si veda il numero 180 di MAG), anche a causa della sempre maggiore attrattività di percorsi “alternativi”, come quello in-house. L’avvocatura italiana sta effettivamente rischiando di lasciare indietro una generazione?
In parte forse sì. Eppure, osservando attentamente l’evolversi del mercato è facile rendersi conto che, anche al di fuori delle “gabbie dorate” dei grandi studi, lo spazio per chi ha idee e progetti esiste: a testimoniarlo è il successo di quegli avvocati che decidono ancora oggi, nonostante tutto, di mettersi in proprio. E che riescono, grazie a modelli innovativi, all’abilità nell’anticipare le tendenze del mercato, o alla conoscenza della propria clientela, a ritagliarsi uno spazio per crescere e svilupparsi. E così trasformare una potenziale “generazione perduta” in un esempio per gli avvocati di domani.
PRIMO: INNOVARE
Michele Di Terlizzi, pugliese d’origine, inizia la sua carriera forense facendosi le ossa in studi tradizionali. Ma nel 2004, insieme al fratello Flavio, che si occupa di finanza, intuisce che nel mercato c’è spazio per un modello di studio che unisca l’advisory legale e finanziaria…
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