Bataclan, l’intervista alla giovane avvocata di Salah Abdeslam
Salah Abdeslam è l’unico superstite tra i terroristi che il 13 novembre 2015 a Parigi avevano ucciso 130 persone in quella ormai nota come la “notte del Bataclan”. Olivia Ronen (nella foto) è stata la sua avvocata, in un processo recentemente raccontato da Emmanuel Carrère in V13 (Adelphi, 2013). Caratterizzato fin dall’inizio da una eco mediatica senza precedenti (in Francia è stato definito “il processo del secolo“), il procedimento è durato 10 mesi e si è concluso nel giugno 2022 con la condanna di Abdeslam all’ergastolo per cinque capi d’accusa, tra cui terrorismo e omicidio.
La rivista Giurisprudenza Penale, a firma del direttore Guido Stampanoni Bassi, ha intervistato l’avvocata Ronen, classe 1990, che ha raccontato cosa ha significato assumere un ruolo così delicato e ingombrante nonostante la giovane età: quando ha accettato l’incarico, infatti, aveva appena trent’anni, “una decina di processi, una ventina di pratiche in materia di terrirismo, e – complessivamente – meno di 5 anni di tribunale”. Un’inesperienza che, racconta l’avvocata, inizialmente l’ha fatta dubitare di poter ricoprire quel ruolo, ma che con il senno di poi l’ha aiutata: “la giovane età, che inizialmente mi sembrava un difetto, si è rivelata al contrario un vantaggio: ci assicurava la tenacia, l’energia, la voglia e forse anche quella dose di incoscienza necessaria per lanciarci in questa esperienza” ha raccontato la Ronen.
Nell’intervista, l’avvocata affronta anche il tema del ruolo dell’avvocato degli imputati cosiddetti “indifendibili” perchè accusati di crimini particolarmente riprovevoli. Una dinamica a cui assistiamo spesso anche in Italia, nel caso più recente in conseguenza della cattura di Matteo Messina Denaro. “Durante i 10 mesi del processo è stato talvolta necessario fare opera di pedagogia, per far capire a tutti che le regole dalle nostra procedura penale trovano la loro ragion d’essere proprio nelle situazioni in cui avremmo più voglia di liberarcene”. Ma la reazione dell’opinione pubblica, a suo dire, è stata sorprendente: “Ho ricevuto numerose lettere di incoraggiamento ed anche di ringraziamenti dalle persone più diverse, sensibili alla difesa che stavamo conducendo. È stato inaspettato e molto gratificante. Durante le udienze siamo anche stati piacevolmente sorpresi dalla benevolenza delle parti civili nei nostri confronti”. Meno positivo il giudizio sul trattamento mediatico riservato al processo, e in particolare sull’influenza che questo avrebbe avuto su giudici e pm, che secondo la Ronen avrebbero violato svariate norme procedurali sulla spinta dell’opinione pubblica. Ma l’avvocata si fregia di non essere stata al gioco dei tribunali televisivi o social: “Le nostre argomentazioni erano riservate alla Corte, perchè era in quell’aula che il processo si svolgeva, e non sui media. Nei 10 mesi di udienze siamo intervenuti in televisione solo 3 volte, quando ci sembrava che certi argomenti essenziali per la nostra difesa non passassero i muri della Corte”.
In Italia, anche a causa delle vicende relative al già citato Matteo Messina Denaro e ad Alfredo Cospito, si è tornati di recente a discutere di ergastolo ostativo e di 41bis. Anche Abdeslam è stato condannato al cosiddetto “ergastolo incomprimibile” (in quanto prevede la possibilità di richiedere una modifica solo dopo 30 anni di detenzione), oltre che a 6 anni di isolamento completo. “È necessario interrogarci sulle condizioni di detenzione eccezionali che abbiamo inflitto a questo detenuto – sostiene l’avvocata. – Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha considerato come disumano e indegno un isolamento penitenziario che superi i 4 anni”. E prosegue: “Eminenti esperti psichiatri invitati a deporre presso la Corte d’Assise hanno parlato di condizioni di detenzione ‘delirogene‘”. Il monito della Ronen è chiaro: “So che non è mai semplice parlare delle condizioni di vita all’interno di un carcere, e che c’è chi potrebbe essere tentato di dire che se lo è meritato. Ma è veramente questa la vittoria della democrazia sulla barbarie? Possiamo noi accettare che i nostri Stati creino delle condizioni di detenzione qualificabili come ‘tortura bianca’? Non lo credo. Io penso invece che i nostri regimi debbano battersi per non cedere a questa inclinazione naturale che privilegia l’idea di vendetta sulla dignità che si deve garantire ad ogni essere umano”.