Bana, 100 anni di diritto penale

di nicola di molfetta

Nessun effetto speciale o ricetta segreta. Qui si parla solo di diritto. Lo studio legale Bana compie i suoi primi 100 anni di attività. E non si tratta di un record così comune in Italia dove, fino a pochi anni fa, l’esercizio della professione forense è stato prevalentemente una questione individuale.

Invece, la storia di questa istituzione, che ha legato il suo blasone al diritto penale, è una storia che si è declinata al plurale grazie all’adesione, di molti dei discendenti del capostipite della dinastia forense, alla professione e al suo esercizio.

Cento anni significano tante storie. Molte vite. Infiniti aneddoti. Ma un solo inizio che può essere fatto risalire alla primavera del 1923 e al nome di Antonio Bana. Nato a Bergamo il 24 giugno del 1899, da una famiglia di proprietari terrieri, fu tra i coscritti di leva mandati in prima linea sui campi della Grande Guerra. Sopravvissuto a quella prova terribile, poté dedicarsi agli studi in Legge all’Università di Pavia. E, dopo la laurea, andò a imparare la professione a Milano, nello studio di Bortolo Belotti, giurista, liberale, deputato del Regno (fu anche ministro dell’Agricoltura tra il 1921 e il ’22, durante il governo di Ivanoe Bonomi). La sua prima difesa, come si ricorda in Avvocati a Milano – Sei secoli di storia (Skira Editore), lo vide impegnato nella vicenda del cosiddetto scandalo della Banca di Sconto, al fianco del suo mentore. Si trattò del primo grande crack bancario della storia del Paese, effetto collaterale dei rapporti troppo stretti e tra l’istituto di credito e il suo principale azionista e cliente, l’Ansaldo, travolto dalla crisi industriale.

Probabilmente, fu proprio questa esperienza a convincere Antonio Bana che la sua vocazione legale era nel diritto penale e che era giunto il momento di aprire il suo studio. L’avvocato, così, diventò uno dei professionisti di riferimento dell’imprenditoria milanese. Fu tra i primi, negli anni ’30 del secolo scorso, a «coltivare la tutela penale della proprietà industriale e intellettuale». Mentre, nel 1931, contribuì in maniera sostanziale alla stesura del Testo Unico della Caccia, assieme al ministro Giuseppe De Capitani D’Arzago. Quella per l’arte venatoria fu una passione che l’avvocato condivise con personaggi illustri, come Giacomo Puccini, e riuscì a trasmettere ai suoi figli (Giovanni in particolare) ai quali, però, trasferì soprattutto le sorti dello studio.

Giovanni, Giuseppe e Luigi Bana hanno rappresentato la seconda generazione di questa dinastia forense. E nel dicembre del 1979, furono anche i fautori della trasformazione dello studio in associazione professionale.

Marcello Bana, Fabio Siena, Elena Martelli, Jacopo Campomagnani, Mariella Bana, Giuseppe Bana, Sara Tarantini, Martina Scalia, Antonio Bana, Francisca Buccellati, Giacomo Gualtieri

Giuseppe Bana, 84 anni, è ancora attivo nello studio, nel suo ruolo di decano e fondatore. «Sono innamorato del mio lavoro. Guai se mi dovessi ritirare! – racconta a MAG –. La settimana scorsa ho discusso in appello con lo stesso entusiasmo di un ragazzino». Da ragazzino, l’avvocato visse, assieme ai fratelli e alla famiglia, i giorni della Seconda Guerra Mondiale. «Fummo “sfollati” nella nostra vecchia casa di Bergamo. La professione di mio padre continuò con i disagi che si possono immaginare. Erano gli anni della legge annonaria e i penalisti prestarono spesso la loro difesa a chi la violava». In oltre sessant’anni di attività, Giuseppe Bana ha vissuto in presa diretta l’evoluzione della professione e in particolare le diverse stagioni attraversate da quello che gli inglesi chiamano penale dei colletti bianchi.
«Quando ho iniziato, nel 1961, il reato di falso in bilancio e le varie violazioni societarie erano pressoché sconosciute. Negli anni, però, hanno preso piede tutti i reati connessi alla materia societaria e con l’evoluzione punitiva e repressiva, la professione si è parallelamente evoluta». La rivoluzione più grande? Forse quella imposta dalla legge 231/01, «quando si è passati da societas delinquere non potest a societas delinquere potest».

Giuseppe Bana si è distinto nel panorama dei penalisti italiani, partecipando, fin da giovane e con ruoli di rilievo, nei più noti processi degli anni Settanta e Ottanta: dal “primo scandalo dei petroli” alla famosa “lista dei cinquecento”, dal disastro della diossina di Seveso, fino al crack del Banco Ambrosiano. Negli anni Novanta, a seguire, lo studio Bana è stato certamente uno dei principali attori nelle vicende di “Tangentopoli”, prima a Milano, poi nel resto d’Italia. Dalla difesa del presidente dell’IRI a quella dei vertici delle numerose imprese coinvolte, spaziando dal mondo delle costruzioni a quello della produzione di caldaie e turbine, o ancora di medicinali.

Oggi lo studio Bana è una boutique specializzata in tutte le principali declinazioni del penale societario, e conta quattro soci, sette collaboratori e tre persone di staff. I partner sono, oltre al socio senior, Giuseppe Bana, suo figlio Marcello Bana; Antonio Bana, figlio di Giovanni; e Giacomo Gualtieri, unico non appartenente alla famiglia.

«Un tempo l’avvocato aveva una preparazione esclusivamente giuridica, oggi deve essere sempre più attento alla costante e rapida trasformazione della giustizia, basti pensare al quadro di cambiamento avvenuto nel 2012, quando è intervenuta la riforma professionale che oggi richiede competenza, aggiornamento e professionalità costante», afferma Antonio Bana. E a proposito della capacità di dominare una materia sempre più sfaccettata, aggiunge: «I nuovi ruoli che ci vengono affidati come professionisti impongono specializzazione, formazione continua, confronto e cooperazione con le altre professioni. Certamente il modo tradizionale di intendere la professione, dopo la mia laurea nel lontano 1991, risulta totalmente trasformato. Oggi, infatti, all’avvocato penalista si chiede sicuramente più spesso di rivolgersi a un gioco di squadra attraverso una sinergia con le diverse professioni». Restano fermi, però, i principi, anzi i valori, su cui è stato fondato lo studio: «Amore per la professione e grande rispetto dei magistrati», come ricorda il decano, Giuseppe Bana. Un approccio legato alla tradizione e fedele al voto del silenzio, anche se, come dicono a MAG i soci dello studio ricordando un detto della Bergamasca, “sotto la cenere, cova la brace”. Un…

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