Baccomo: «Dieci anni dopo “Studio Illegale”, gli avvocati non mi mancano»

Un cult. Un romanzo, e prima ancora un blog, che ha segnato una generazione di avvocati d’affari. Studio Illegale compie dieci anni. Marsilio ha deciso di ridarlo alle stampe, con una nuova copertina e celebrare in questo modo il successo dell’opera prima di Duchesne, al secolo Federico Baccomo. Ex avvocato. Da dieci anni scrittore.
Tutto accadde molto velocemente. Il blog era il rifugio online di tanti giovani giuristi schiacciati da una professione che andava sempre più veloce ed esasperava la competizione.
Ma era anche una miniera di idee, scene di vita reale seppure frutto della fantasia di un autore che conosceva bene quel mondo, ci aveva vissuto e sapeva perfettamente evocarne le dinamiche tragicomiche.
Così il blog è diventato un romanzo. E poi il romanzo è diventato un film (interpretato da Fabio Volo).
MAG ha deciso di rievocare quella stagione con Baccomo che ora si appresta a pubblicare un nuovo lavoro: «Il libro più lungo che abbia mai scritto». 

Sono passati 10 anni dall’uscita di Studio Illegale: cosa ricordi di quel momento?
Tutto: la gioia, l’emozione, l’ansia legate a quello che era contemporaneamente un inizio – il primo libro, l’esordio in un nuovo mestiere, quello di autore – e una fine – dopo due anni di blog, due anni in cui avevo vissuto nell’anonimato digitale, al centro di una splendida comunità nata oltre le mie intenzioni, era tempo di chiudere la porta, lasciando che il libro fosse la summa di un’esperienza che travalicava le pagine.

La seconda o terza edizione del libro uscì col tuo nome invece che col tuo pseudonimo: fu la fine di Duchesne e la “nascita” di Federico Baccomo come scrittore. A posteriori sicuramente un bene. Ma in quel momento?
Fu soprattutto una liberazione. Potrebbe suonare cinico, ma per me il blog e lo pseudonimo avevano esaurito la loro funzione nel momento in cui è uscito il libro. Potevano essere utili (lo sono stati e avrebbero potuto continuare ad esserlo) a livello di marketing, ma a livello personale tenermeli addosso stava diventando un peso. Fino a quel momento scrivere Studio illegale – blog e libro – era stata una forma di liberazione, stava diventando un po’ una prigione. Così quando la SIAE tradì la mia identità, prevalse il sollievo. Potevo dare ad altri la responsabilità di qualcosa che, in cuor mio, già desideravo: andare oltre la splendida ma esaurita esperienza di Studio Illegale.

Che rapporto hai con quel libro e con quei tempi?
È un libro che amo: amo la lingua con cui è scritto, lo sguardo del protagonista, la malinconia rassegnata. A volte capita che mi sembra si mangi il resto dei miei lavori, resta il più venduto e il più celebre, ma è un prezzo che mi piace pagare. Di conseguenza ricordo con affetto i tempi in cui è nato, in particolare i primi giorni in cui mi resi conto che stava cominciando a muoversi qualcosa intorno alle mie parole.

Non credo di avertelo mai chiesto: perché decidesti di chiamare il blog “Studio Illegale”?
Cercavo un nome semplice, efficace, che comunicasse in poche parole il mondo in cui mi sarei mosso. Studio illegale mi venne in mente subito, mi sembrò buono, anche se in realtà amo poco i giochi di parole.

Questi studi-azienda erano creature esotiche: ”Studio illegale” sollevò il velo, gridò: il re è nudo! E rappresentò una sorta di terapia collettiva per giovani avvocati d’affari?
In un certo senso sì, salvo che una terapia cerca di guarire i pazienti, in questo caso i pazienti non volevano uscire dalla malattia, ma cercare un modo per riderne.

Sono passati appena 10 anni, ma lo scenario sta mutando in maniera radicale: il rampantismo dell’epoca sta lasciando spazio alla ricerca del work-life balance. Cosa è successo secondo te?
Quel modus lavorandi era folle, forse giustificato all’inizio dai soldi e dal prestigio che ne potevano derivare, ma quando pure questi han cominciato a scemare non c’era motivo di vivere un perenne sacrificio. Mi sembrò di notare un cambiamento già nel 2007, poco prima di aprire il blog, quando i nuovi praticanti sembravano meno motivati, meno muli, capaci di dire “no, sono le otto, io vado a casa/a cena/al cinema”. I tempi stavano cambiando, ricordo che un mio amico mi disse: “vuoi vedere che siam stati gli ultimi idioti”.

Oggi, probabilmente, l’avvocato Campi avrebbe a che fare con l’intelligenza artificiale… Come la vivrebbe?
Campi è uno che si guarda…

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