AVVOCATURA E SCIOPERO: CENNI A SOSTEGNO DI UNA REVISIONE CRITICA
di Renato Torrisi*
Lo scontro in atto tra l’Avvocatura e il Ministro Guardasigilli in tema di geografia giudiziaria ha reiterato, per l’ennesima volta nell’ultimo quinquennio, la tragica pantomima dello sciopero. L’Avvocatura infatti, per protestare contro il provvedimento non condiviso, ha proposto e sostenuto per il tramite di Ordini, CNF e Associazioni forensi una forma di lotta consistente nella generalizzata astensione dalle udienze di merito, assunta con grancassa di proclami e roboanti minacce. Come è già capitato in precedenza, non ci si attende alcun consenso da tali iniziative né che venga approvata una sola delle proposte avanzate dagli organismi rappresentativi della categoria. Mi pare quindi che, esulando dalla disamina del merito dei provvedimenti contestati, si imponga una ragionata riflessione sull’efficacia dello strumento di lotta adottato, laddove la veicolazione di una voce dissenziente possa tentare di introdurre stimoli nuovi anche in un ambiente tradizionalmente molto rigido quale è quello del governo della nostra amata professione. Ciò ancor più ove nuove iniziative vengano programmate, con ciò reiterando una scelta sino ad oggi, si ribadisce, del tutto improduttiva.
L’accezione tradizionale e classica dello sciopero non si adatta con immediatezza al lavoro intellettuale, e per esso all’avvocatura, ove il binomio centrale costituito dal rapporto lavoratore/datore di lavoro è sostituito dal rapporto cliente/avvocato. Come detto, l’avvocatura, intendendo contestare il merito dei provvedimenti, si è astenuta dall’effettuazione delle udienze di merito. La rivendicazione nei riguardi della controparte attiva della pretesa lesione (l’Esecutivo appunto e successivamente il Parlamento) si è esplicata mediante l’adozione di provvedimenti invasivi della sfera dei diritti di un terzo del tutto incolpevole (il cliente). Il quesito che ne deriva è se questa scelta debba considerarsi legittima, o soltanto opportuna, se essa possa considerarsi proporzionata all’interesse in gioco e, da ultimo, se sia stata anche in parte efficace. A tal fine, necessita preliminarmente inquadrare i termini della questione.
a) Si chiami come si vuole, essenzialmente lo sciopero consistente nell’astensione dalle udienze è un inadempimento al contratto cliente/avvocato. Esso infatti si sostanzia nella omissione, ovvero in via più sfumata nel differimento o nel “rinvio”, per utilizzare un termine caro alla prassi curiale, dello svolgimento del mandato ricevuto.
b) Il codice deontologico (che è esercizio di potestà regolamentare autoreferenziale) qualifica tuttavia l’astensione come un diritto dell’avvocato. Tale diritto è riconosciuto, rammenta l’art.39, ove l’astensione sia proclamata dagli organi forensi e sia conforme al codice di autoregolamentazione ed alle norme in vigore. L’evidente distonia viene composta operando una comparazione tra gli interessi confliggenti: l’astensione è un diritto ed il suo esercizio rende lecita la sospensione del correlativo diritto del cliente all’adempimento del contratto. Nel rapporto tra i diritti in conflitto, il diritto del cliente, per così dire, retrocede, superato da interessi qualificati, per il rispetto e/o la rivendicazione dei quali si considera lecito imporre un sacrificio al proprio rappresentato. La valutazione sulla opportunità di forme di lotta così radicali non può non stimolare una seria discussione sulla democraticità del dibattito all’interno dell’avvocatura; sulla sussistenza e sull’efficacia dei controlli posti in essere dagli Ordini a tutela di comportamenti attuati in pregiudizio alle altre parti in causa; sulla sussistenza di ipotesi di lotta alternative e maggiormente efficaci.
Può a questo punto immaginarsi una enumerazione delle criticità che mi appaiono emergere dall’adozione dello strumento di lotta dello sciopero e del suo reiterato utilizzo nel contrasto alle normative poco gradite.
a) Si è parlato di comparazione degli interessi in gioco. Nel caso che ci ha occupato credo non possa in alcun modo operarsi una ricostruzione vantaggiosa tra l’interesse del cliente allo svolgimento del mandato (che ci ha conferito in via fiduciaria e per il quale ci remunera) con i provvedimenti emanati in tema di regolamentazione dell’attività professionale. Non credo che nessuna di tali norme sia talmente importante da richiedere al cliente la tolleranza nei confronti di una omissione che ove diversamente assunta sarebbe suscettibile di infrazione disciplinare all’art.7 precetto I° (compimento consapevole di atti contrari all’interesse del proprio assistito) ed all’art. 8 (violazione del dovere di diligenza) del codice deontologico.
b) Diversamente, credo si sia diffusa la percezione che gli avvocati, per contrastare provvedimenti che (a torto o a ragione, non ha alcuna importanza) possano incidere sull’ambito delle proprie competenze (leggesi: prerogative) non indugiano a riversare sui propri clienti gli esiti delle proprie rivendicazioni. Con buona pace della già diminuita considerazione diffusa sulla funzione sociale esercitata dalla categoria. A testimonianza invoco le sarcastiche ricostruzioni giornalistiche operate anche dai quotidiani nazionali di maggiore e condiviso equilibrio.
c) In via propositiva, credo maggior impatto in termini di percezione pubblica avrebbe sortito non già l’astensione dalle udienze, che, come detto si palesa particolarmente invisa ai più ed in specie ai clienti, bensì l’adozione di comportamenti di rigorosa applicazione della normativa processuale e procedimentale, meglio noti come “sciopero bianco”. In buona sostanza, comportamenti quali il rifiuto dalla redazione dei verbali di causa in assenza del segretario redigente o degli atti di avviso o delle relate di notificazione, atti consuetamente posti in essere dagli avvocati seppur non di loro stretta prerogativa, ma testimonianti il ruolo indispensabile della categoria nel quotidiano e difficile svolgimento dell’attività lavorativa, avrebbero consentito di creare ben diversa pressione su tutte le componenti dell’amministrazione della giustizia, giudici compresi.
d) In via più generale, e questa volta con particolare riferimento alla pars decidens nel mondo della Giustizia, credo dovrebbe essere abbandonata la generale disponibilità dell’Avvocatura a supplire alle deficienze organizzative del sistema. Gli avvocati tornino a fare gli avvocati, e la smettano di ambire a posti di amministrazione della giustizia, seppur part time: tale supplenza non ha mai alzato di un millimetro la considerazione che la magistratura ha dell’avvocatura e del ruolo sociale da essa svolto. Più in generale, poi, non mi pare che vengano adottati efficaci strumenti di controllo sull’esercizio strumentale del diritto di sciopero.
A miglior comprensione della importanza di questo profilo, valga sottolineare come il codice di autoregolamentazione (art.3 comma 3) si premura di evitare che il professionista che non aderisce all’astensione possa “compiere atti pregiudizievoli per le altre parti in causa”. Il codice deontologico poi (art.39 precetto II) considera illecita una astensione strumentale al perseguimento di utilitaristiche esigenze di natura processuale, per il che non è consentito dissociarsi dall’astensione precedentemente dichiarata “con riferimento a singole giornate od attività” ovvero, ove se ne sia precedentemente dissociato, “aderirvi parzialmente, in certi giorni o per particolari proprie attività professionali”. Tale importantissimo aspetto che involge i rapporti tra i colleghi meriterebbe maggior controllo. Se infatti il diritto all’astensione va esercitato in maniera non strumentale ed utilitaristica agli esiti del processo, probabilmente esso potrebbe formalizzarsi mediante una dichiarazione d’intento scritta indirizzata all’Ordine di appartenenza, dichiarazione riprodotta in seno a TUTTI i processi intervenuti nel periodo. Ogni comportamento diverso ed irregolare sarebbe immediatamente individuato. Magari in questo modo non ci si potrebbe fregiare di percentuali di partecipazione da radunata oceanica, ma il controllo sulla regolarità delle condotte processuali sarebbe finalmente efficace a garanzia di tutti.
*Avvocato – Tesoriere UNCAT – Unione Nazionale delle Camere degli Avvocati Tributaristi