Avvocato: non chiamatelo subordinato, ma almeno tutelatelo. Trent’anni di “no” e uno spunto per cambiare

di nicola di molfetta

Il primo “no” ha compiuto 30 anni proprio in questo 2024. L’ultimo, in ordine di tempo, è arrivato il mese scorso ed è stato pronunciato dalla sezione lavoro della Cassazione.

La prestazione resa in forma esclusiva e continuativa da un avvocato in favore di uno studio legale associato non ha natura subordinata.

La suprema corte ha anche specificato che è inutile addurre come ragioni contrarie il fatto che lo studio legale sia organizzato, che la attività dell’avvocato in questione sia retribuita regolarmente con cadenza periodica, o che il professionista in questione non abbia altro cliente che lo studio a cui indirizza la propria fattura mensile: l’avvocato non è un lavoratore subordinato. E se esercita la propria attività all’interno di una struttura organizzata, con un ruolo definito e dei riporti minimi, si deve considerare semplicemente inserito in una struttura dove il coordinamento dei professionisti serve a consentire il regolare svolgimento dell’attività del gruppo.

Non sembra lasciare appigli la sentenza 28274/2024 che ha definito la controversia promossa da un’avvocata che voleva ottenere l’accertamento della natura subordinata del rapporto intrattenuto per oltre 13 anni con uno studio legale associato.
In ciascuno dei tre gradi di giudizio, come ha spiegato bene l’avvocato Giampiero Falasca sulle pagine del Sole 24 Ore, è stato ribadito che

per le prestazioni professionali non sono significativi i criteri distintivi della subordinazione, costituiti dall’esercizio dei poteri direttivo e disciplinare; neppure possono considerarsi sintomatici di tale vincolo altri elementi come la fissazione di un orario o eventuali controlli sull’adempimento della prestazione.

Non lo sono nella misura in cui al professionista venga garantita la possibilità di svolgere in modo libero, autonomo e indipendente, la sua attività.

Se non contano i rapporti gerarchici, se non conta la fissazione del compenso, se non conta l’impossibilità di avere clienti propri, o di vedersi riconosciuto un congruo preavviso in caso di decisione unilaterale dello studio di mettere fine alla collaborazione con l’avvocato di turno, bisogna comunque prendere atto della sempre crescente presenza sul mercato della figura dei cosiddetti legali monocommittenti e della necessità di regolamentarla.

Non chiamiamoli avvocati subordinati, ma tracciamo un loro profilo e soprattutto garantiamo i loro diritti.

La richiesta è stata ribadita, dopo la sentenza dello scorso novembre, dall’Aiga, l’associazione dei giovani avvocati che, senza entrare nel merito della vicenda decisa dalla Cassazione in sostanziale coerenza con i precedenti (5389/1994; 9894/2005; 3594/2011; 22634/2019), ha invocato ancora una volta la necessità di normare la figura degli avvocati che lavorano per altri avvocati. Perché dire che un avvocato non può essere un lavoratore subordinato è un conto, ma dire che nella sua condizione di professionista intellettuale, indipendente e autonomo, non possa reclamare i propri diritti è un altro.

Sul punto, le sollecitazioni dell’Aiga meritano di essere rilanciate e di essere prese in serissima considerazione. La questione di dare l’opportuna veste giuridica all’avvocato monocommittente, infatti, potrebbe essere risolta abbastanza facilmente inserendo un articolo 23 bis nel testo della legge professionale. E cosa dovrebbe prevedere tale articolo? Tre commi. Il primo per definire l’avvocato monocommittente; il secondo per rimettere la disciplina di dettaglio alla regolamentazione secondaria del CNF, di concerto con il Ministero della Giustizia; il terzo per attribuire ai Consigli dell’Ordine degli Avvocati, territorialmente competenti, poteri di controllo e di verifica del contenuto del contratto di collaborazione professionale.
Qualcosa di simile, in Francia, c’è già e funziona molto bene. A questo link è possibile leggere nel dettaglio la proposta dei giovani avvocati dell’Aiga. Credo sia un atto doveroso, e una delle questioni da mettere in cima alla lista dei buoni propositi per l’anno che verrà.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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