Avvocati, voglia di ricominciare: ma come?

Avete presenti le promesse dei bambini colti con le mani nella marmellata e pronti a giurare qualsiasi cosa pur di scampare alla probabile punizione? Siamo nella fase 3 dell’emergenza coronavirus. E il dramma apocalittico che in molti preconizzavano nei giorni del lockdown più estremo, con teste fasciate senza nemmeno un graffio, sembra un (brutto) ricordo con cui sempre meno gente ha voglia di fare i conti.

Si diceva che l’esperienza del Covid-19 ci avrebbe reso tutti diversi. Migliori. In realtà, ne abbiamo parlato anche nella puntata di Complex andata online il 18 giugno scorso, per adesso i risultati di questo percorso di rigenerazione morale e professionale sono ancora invisibili. Piuttosto si hanno evidenze del contrario. Ma lasciamo stare.

“Ripartire” è l’imperativo che a Milano, la città che non si doveva fermare e che invece è stata costretta al blocco più drammatico, circola con maggiore insistenza.

L’emergenza comincia a essere meno percepita. Gli affari stanno tornando a girare. Gli studi legali a riaprire.

Eppure, le stanze sono ancora piuttosto vuote. Gli ingressi sono contingentati. La prudenza è ancora tanta. La paura ancora non ha abbandonato chi, nelle settimane passate, è stato testimone della tragedia sanitaria che ha colpito la città, la regione e tutto il Paese.

Lo smart working e la prospettiva di una necessaria riorganizzazione del concetto di presenza fisica sul lavoro comincia già a essere visto con maggiore relativismo. «Restano a casa, anche perché è subentrata un po’ di pigrizia».

La sensazione è che il fattore coronavirus, anziché diventare motore virtuoso di un processo di evoluzione, si stia riducendo a una variabile di mercato con cui si dovranno fare i conti nei prossimi mesi a prescindere dall’effettiva persistenza del suo impatto sanitario.

Lo stanno vedendo gli avvocati che nella gestione dei rapporti con i clienti sono costretti a tener conto del fattore epidemiologico quando devono preparare un preventivo o negoziare una parcella, come raccontiamo nel pezzo dedicato alla pressione tariffaria in questo numero di MAG.

Se ne accorgeranno tantissimi lavoratori, per l’esattezza 2,2 milioni di persone, che a fine anno saranno disoccupati, almeno secondo le previsioni elaborate dall’Istat.

La fine del blocco dei licenziamenti darà una gran mano al compimento di questa profezia.

«I lavoristi sono i primi che abbiamo richiamato in blocco», mi ha confidato una fonte in uno dei più grandi studi legali d’affari nazionali. Dopo l’estate assisteremo a una vera e propria sagra dei tagli. E in questo modo vedremo completarsi quel salasso che tante imprese si sono autoimposte, con l’aiuto degli ammortizzatori di Stato, per ordinare i conti e fare pulizia all’interno di organizzazioni che contagiate dalla pandemia si sono riscoperte quantomeno inefficienti.

La ripartenza sarà drammatica. E il dramma sarà (fatte le debite eccezioni) più che altro una costruzione scenica giustificata da qualche dato macroeconomico che, in circostanze come queste, diventa un alibi per le più ardite manovre di speculazione gestionale.

Il Pil calerà dell’8,3% (sempre l’istat) e il sistema economico si impegnerà a “gestire” la situazione: a prescindere, come avrebbe detto Totò. A prescindere dallo stato effettivo di salute delle aziende, a prescindere dalla ricchezza accumulata negli anni di crescita, a prescindere dalla effettiva ripartenza del proprio comparto così come dalla necessità di tornare alla normalità da ogni punto di vista.

E la domanda, a questo punto è una sola: questo mood contagerà anche le scelte gestionali delle giovani imprese che ancora chiamiamo studi legali? Staremo a vedere.

nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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