Avvocati, sostenibilità è concorrenza e comunicazione

di nicola di molfetta

Sono passati quattro anni. E forse, nelle prossime settimane, avremo una seconda legge sulla concorrenza dopo la prima approvata nell’estate del 2017.

A beneficio di chi non lo ricordi, rammentiamo che lo Stato sarebbe tenuto ad approvare ogni anno una norma sul mercato. Un impegno legato al fatto che l’economia è un organismo vivente, dinamico e che la necessità di correttivi che le consentano di svilupparsi ed evolvere nel modo più virtuoso è qualcosa di costante e che, quindi, non può essere affrontata in modo episodico.

Ma l’Italia non è un Paese che ama l’argomento. L’obbligo di legiferare sul tema è stato introdotto nel 2009. Nel 2017, come ricordato, è stata portata a casa la prima legge in materia. Il “traguardo” fu tagliato a ferragosto e dopo quasi due anni dalla ultima revisione del testo in consiglio dei ministri. Questa volta potremmo esserci. Il premier Mario Draghi sembra determinato a portare a casa anche questo risultato (il testo del disegno di legge delega è stato approvato il 4 novembre in consiglio dei ministri). Se così sarà, saranno comunque quattro gli anni di ritardo con cui il legistatore avrà provveduto al compito.

«Viene ripristinata la regola dell’annualità delle leggi», ha sottolineato non a caso il professor Marco D’Alberti, consigliere giuridico di Draghi, ex consigliere superiore della Banca d’Italia e ordinario di diritto amministrativo alla Sapienza di Roma. Speriamo sia davvero così. Anche perché di ulteriori capitoli da scrivere, in tema di concorrenza, ce n’è in abbondanza.

Ovviamente il pensiero vola alle professioni giuridiche. Il testo “in itinere” si sarebbe dovuto occupare di notai, introducendo finalmente la possibilità di esercitare le funzioni su tutto il territorio nazionale. La norma è stata stralciata. C’è chi lo chiama il metodo Draghi: inutile bloccare una legge solo per un particolare sui cui non si riesce a creare l’indispensabile consenso. Meglio procedere un passo alla volta facendo il massimo che sia possibile e rimandando i bocconi più indigesti alla prossima riforma, quando il sentiment della politica sarà auspicabilmente più pronto. Vedremo.

Ma il settore ha ancora bisogno di rinnovamento. Le novità introdotte nel 2017 non hanno risolto la questione. E qui penso chiaramente agli avvocati. C’è bisogno che il rinnovamento introdotto dalla “nuova” legge professionale, quella del 2012, sia pienamente espresso e attuato. 

Nel 2017 si intervenne sulla professione legale proprio per questo motivo. E il legislatore introdusse la possibilità di esercitare la professione forense in forma di società di capitali oltre a chiarire definitivamente che il preventivo degli avvocati a benefico dei clienti era un obbligo e non una concessione che i più magnanimi potevano elargire a chi gliene faceva richiesta.

Sempre D’Alberti ha ricordato che la legge sulla concorrenza è un provvedimento che «mira ad aprire i mercati per favorire la crescita e l’occupazione e al tempo stesso tutela i valori sociali e di uguaglianza». Potremmo dire che si tratta di una norma che punta a rendere il mercato sostenibile bilanciando gli interessi di parte con quelli di sistema. Il che è probabilmente ciò che non piace a molti dei suoi frenatori.

In ambito legale ci sono ancora molte questioni da chiarire sul fronte dell’esercizio della professione in forma aggregata. Così come ci sono dei punti nodali da sdoganare sul versante della comunicazione professionale. L’articolo 10 della legge 247 che, sulla carta, dovrebbe aver smarcato la questione statuendo che “è consentita all’avvocato la pubblicità informativa sulla propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio e sulle eventuali specializzazioni e titoli scientifici e professionali posseduti”. Tuttavia i paletti previsti dalla stessa legge e dal codice deontologico (“la pubblicità e tutte le informazioni diffuse …, debbono essere trasparenti, veritiere, corrette e non devono essere comparative con altri professionisti, equivoche, ingannevoli, denigratorie o suggestive”) offrono una gamma infinita di sfumature all’interpretazione del concetto principale (gli avvocati possono comunicare!) da offrire il destro a qualunque iniziativa di retroguardia e chiusura che alcuni esponenti della categoria sentano il bisogno di attuare in nome di un non meglio delineato senso del decoro.

Il problema è che oggi la comunicazione è parte integrante delle dinamiche di mercato che governano anche le professioni legali. E i valori della trasparenza e della informazione non sono posti a tutela degli interessi di casta, ma vanno garantiti ed esercitati a beneficio dei cittadini e di chiunque si trovi nella condizione di dover ricorrere ai servigi degli avvocati per risolvere problemi o gestire affari. La deontologia non deve essere usata come paravento per tutelare interessi di parte. Non è questo il suo fine. E grazie al cielo molti avvocati ne sono più che consapevoli.

Negli ultimi anni abbiamo cominciato a raccontare delle prime iniziative di reportistica integrata realizzate da studi legali associati che hanno deciso di rendere trasparente e controllabile la propria attività anche a beneficio dei clienti. Per dovere etico. 

Sarebbe bello che l’evoluzione della norma sulle “Informazioni sull’esercizio della professione” incentivasse (ho resistito alla tentazione di scrivere obbligasse) tutti gli avvocati a questo esercizio di trasparenza e comunicazione virtuosa e alla sua diffusione su ogni mezzo di comunicazione disponibile. 

Ma qui ci avviciniamo troppo al libro dei sogni. Tornando alla realtà, nell’immediato futuro, sarebbe già un grande risultato eliminare le ambiguità che oggi frenano il diritto alla comunicazione professionale. Nel nome della concorrenza. In nome della sostenibilità.

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Per cominciare
Avvocati, sostenibilità è concorrenza e comunicazione
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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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