AVVOCATI, SE LA DEONTOLOGIA BLOCCA IL RINNOVAMENTO
di nicola di molfetta
«Più diritto della rete e meno diritto romano». La provocazione lanciata dalla presidente dell’Aiga (associazione giovani avvocati) Nicoletta Giorgi, lo scorso 8 ottobre, ha fatto scalpore. Inutile dire che in tanti hanno frainteso il senso di questa uscita che, in realtà, puntava il dito contro un problema cruciale della categoria: la necessità di rinnovarsi.
In un fondo pubblicato sull’inserto economico de la Repubblica, Alessandro De Nicola, il 3 novembre, attacca il nuovo codice deontologico e la sua impostazione anti-concorrenziale fatta di mille paletti posti attorno a tematiche cruciali per la competitività di qualunque studio legale contemporaneo: dalla pubblicità, alla possibilità di rendere noti i nominativi dei propri clienti, al patto di quota lite.
Come raccontiamo nel numero di Mag by legalcommunity andato online il 27 ottobre (clicca qui per scaricarlo) il nuovo codice deontologico, in teoria, impedisce persino l’utilizzo dei social network. Il codice, infatti, stabilisce che: L’avvocato può utilizzare, a fini informativi, esclusivamente i siti web con domini propri senza reindirizzamento, direttamente riconducibili a sé, allo studio legale associato o alla società di avvocati alla quale partecipi. Questo significa che il dominio deve essere di proprietà del legale o dello studio e non di terzi. Un profilo Facebook o Linkedin o ancora Twitter, al contrario, si appoggia sempre su un dominio appartenente a una società esterna, quella cioè titolare del social network.
Una disposizione del genere lascia basiti. E probabilmente è la conseguenza “non voluta” di quel bisogno di regolamentare tutto che da sempre affligge la categoria che non fa altro che imporsi norme che quasi nessuno rispetta, come è accaduto per anni con i nomi delle associazioni professionali.
Il motivo di tale riottosità non è una sorta di ancestrale pulsione anarchica degli avvocati italiani, quanto il fatto che le 250mila toghe nazionali devono affrontare una realtà che spesso è molto diversa da come appare dalla turris eburnea delle istituzioni forensi e del legislatore.
Le regole, anche quelle deontologiche, dovrebbero servire da propulsore per lo sviluppo e la crescita di un settore. L’opportunità di riscriverle nel mezzo di una delle crisi più dure che il mondo contemporaneo ricordi poteva essere colta meglio onde riuscire a funzionare da supporto per chi ha voglia di dare un’interpretazione nuova alle potenzialità di una professione essenziale per il rilancio dell’economia e, allo stesso tempo, allontanare il sospetto che certi steccati siano stati concepiti solo per tutelare le posizioni di rendita di chi ha cominciato a praticare il diritto quando la rete si usava solo per pescare.