Avvocati o consulenti? Il private equity può riscrivere le regole del gioco

di nicola di molfetta

Il rapporto tra private equity e professioni legali è sempre stato oggetto di tensione. Nel mondo del diritto, l’indipendenza dell’avvocato, i vincoli deontologici e la protezione del cliente hanno rappresentato storicamente un argine invalicabile contro l’ingresso del capitale finanziario. Oggi, però, qualcosa si sta muovendo e a guidare la svolta è la Svezia, dove sta per nascere AGRD Partners, un gruppo di nuova generazione composto da sei studi di business law sostenuti dal private equity Axcel.

Il progetto è dirompente per almeno due ragioni. La prima: AGRD intende operare come alleanza di law firm con una struttura proprietaria e retributiva “moderna”, capace di attrarre talenti e generare efficienza. La seconda: per aggirare il divieto svedese di finanziamento esterno agli studi legali, i professionisti coinvolti lasceranno l’Ordine e forniranno consulenza come “legal consultants”, svincolati dalle regole e dalle garanzie della bar association. Un cambio di etichetta che solleva interrogativi cruciali: i clienti accetteranno un servizio di alta gamma non più erogato da “advokat”, ma da consulenti giuridici non sottoposti a un codice deontologico ufficiale?

Il tema si intreccia con il quadro europeo e mondiale, dove la situazione resta estremamente frammentata. Regno Unito e Australia hanno da tempo introdotto le alternative business structures (ABS), che consentono l’ingresso del capitale. In Arizona, il fenomeno è già realtà. In Europa continentale, invece, prevale il divieto: la Germania resta impermeabile, la Francia non contempla aperture, in Italia e Spagna ci sono dei margini di manovra ma sono limitati e (soprattutto in Italia) complessi da applicare. Nei Paesi Bassi, il dibattito è aperto ma sospeso: l’Ordine ha rinviato ogni decisione a dopo il 2026, in attesa di studi e pareri.

Di fronte a questo mosaico normativo, AGRD si presenta come un esperimento audace, quasi un laboratorio. Il modello, secondo alcuni esperti, ha potenzialità ben oltre la Svezia, con obiettivi già fissati nel Regno Unito e nei Paesi nordici. Ma è evidente che la strada in Europa sarà tutta in salita. Come osservano molti avvocati, l’iniziativa svedese avrà un impatto scarso sugli altri Stati membri dell’Ue, che restano ancorati a regole diverse e più restrittive. Tuttavia, il potere politico e simbolico non va sottovalutato: vedere un gruppo finanziato da private equity operare senza scosse potrebbe spingere altri Paesi (o meglio, gli avvocati che in essi operano) a rimettere in discussione i propri dogmi.

C’è poi la questione della percezione. Le imprese accetteranno davvero di affidarsi a “consulenti legali” privi del titolo formale di avvocato? La risposta, in parte, è già sotto i nostri occhi: grandi player come gli studi legati alle big four operano con modelli ibridi, dove gli avvocati collaborano con i consulenti e ne assumono i tratti distintivi in termini di approccio alle questioni e di assistenza ai clienti. I clienti si fidano più del brand e della qualità percepita che dell’etichetta formale? Dipende dal brand, verrebbe da dire: ma questo sarebbe un altro discorso. AGRD spera di replicare questa logica, costruendo un marchio forte e riconoscibile nel legal business.

In ultima analisi, la nascita di AGRD Partners segna l’apertura di un nuovo capitolo nel rapporto tra capitale e professione legale. Non è detto che il modello sia replicabile ovunque, ma la sua stessa esistenza incrina un tabù: che il diritto d’impresa resti impermeabile alle logiche del finanziamento esterno diretto. La vera domanda, oggi, non è se il private equity entrerà stabilmente nel mondo legale, ma quando e con quali regole. 

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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