Avvocati d’affari e la nouvelle vague istituzionale
di nicola di molfetta
In principio fu l’istituzionalizzazione. Ora, però, il processo evolutivo dei grandi studi legali d’affari compie un ulteriore passo in avanti. Si apre a nuove risorse intellettuali. Punta all’acquisizione di competenze e soprattutto di capacità di visione.
È il segno dei tempi. Gli scenari di mercato mutano alla velocità della luce. I cicli si accorciano. La comprensione delle dinamiche geopolitiche diventa essenziale per chi opera sempre di più su uno scacchiere internazionale. L’approccio giuridico, da solo, non è più sufficiente a gestire tutto questo.
Lo studio legale contemporaneo si riconosce nella sua dimensione di attività economica e imprenditoriale. Un’organizzazione aperta all’innovazione ma che punta soprattutto a giocare un ruolo diverso nel business.
Lo scenario legal tech, dalle nostre parti, è ancora agli albori, con poche realtà pronte a investirvi davvero. In Italia, oggi, lo scetticismo verso l’utilità effettiva che possano avere l’adozione di sistemi di intelligenza artificiale o l’introduzione di processi di automazione produttiva dell’output legale è ancora prevalente.
Poco importa quello che accade altrove. Eppure, solo negli ultimi sette giorni abbiamo assistito alla nomina del primo Innovation head di Linklaters a Londra, mentre Mishcon de Reya consentiva a un gruppo di suoi avvocati di dirottare il 20% del proprio tempo fatturabile su iniziative tech ed Eversheds Sutherland annunciava il lancio della sua innovation platform.
Per tanti professionisti italiani queste cronache da Oltreconfine sono più che altro racconti ai confini della realtà.
Qui il presente è ancorato saldamente a una versione “analogica” dell’attività dello studio legale. E sono altre le iniziative capaci di ispirare e attirare l’attenzione.
È il caso dell’apertura dello studio legale a nuove sinergie intellettuali. Se poi queste arrivano dal mondo della politica o delle istituzioni pubbliche, allora la cosa assume un potenziale dirompente nell’immaginario della categoria.
Il grande interesse suscitato dalle recenti iniziative di due player fondamentali del mercato italiano lo conferma chiaramente.
Sul numero 104 di MAG abbiamo raccontato la “Missione Istituzionale” dello studio BonelliErede (che pure, nei mesi scorsi, ha avviato il pionieristico progetto beLab) sempre più determinato a contare sul piano internazionale e che per questo scopo ha preso in squadra l’ex ministro degli Affari esteri italiano, Angelino Alfano e l’ex vice primo ministro egiziano Ziad Bahaa-Eldin.
In questo MAG, invece, la sezione Agorà si apre con la notizia che Gatti Pavesi Bianchi ha costituito un advisory board di cui fanno parte l’ex ministro degli Interni ed ex governatore lombardo, Roberto Maroni, l’ex ministro della Funzione Pubblica ed ex presidente di Cdp, Franco Bassanini e l’ambasciatore e presidente dell’Ispi, Giampiero Massolo.
Dall’istituzionalizzazione stiamo passando all’acquisizione di uno standing istituzionale.
La differenza dovrebbe essere chiara. Lo sforzo compiuto per istituzionalizzare lo studio legale è servito a risolvere una questione di ordine interno. Ovvero è stato utile a gestire la transizione da bottega padronale a organizzazione strutturata e imprenditoriale dell’associazione professionale.
L’anelito istituzionale a cui stiamo assistendo adesso, invece, riguarda la capacità di visione e di azione dello studio. Nell’interesse proprio, ma anche nell’interesse dei clienti.
L’arrivo di professionalità da mondi contigui nelle stanze degli studi legali non è di per sé una novità. Tante organizzazioni contano tra i loro componenti professionisti con un passato in enti come Antitrust, Consob, Bankitalia, Agenzia delle Entrate, eccetera. In tutti questi casi, però, l’ingresso di turno non ha mai destato particolare stupore anche perché è stato tendenzialmente letto come un rafforzamento delle competenze tecnico giuridiche dello studio legale in alcune aree di pratica principali.
Ma l’arrivo di politici o di uomini delle istituzioni pubbliche ha un impatto diverso. Quantomeno inedito. Eravamo abituati agli avvocati in politica (anche la XVIII legislatura vede 132 avvocati in Parlamento e 5 legali al Governo) non al contrario. Mentre i giuristi del potere, che con esso intrattenevano un dialogo privilegiato e avevano consuetudine di rapporti (rigorosamente personali e impossibili da tramandare per il grado di elezione che li caratterizzava), erano considerati una élite inevitabilmente ristretta e circoscritta.
Come va letta, dunque, questa novità? Non crediamo si tratti semplicemente di acquisire capacità lobbistica. Chi lo pensa, rischia di dare un’interpretazione solo parziale a questo fenomeno.
Piuttosto, tali iniziative sembrano puntare sulla contaminazione intellettuale. E descrivono la volontà degli studi di acquisire in maniera stabile e sistemica una capacità specifica di lettura degli scenari, comprensione delle dinamiche ed elaborazione di iniziative strategiche. La volontà di ridefinire il proprio ruolo passando dallo status di referente tecnico a quello di consulente “alto”.
La volontà di rendere trasparente e patrimonio dello studio quella qualità che un tempo fu solo di pochi grandi avvocati ammessi nelle mitologiche stanze dei bottoni.
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