Avvocati, cosa fare nell’ora più buia?

di nicola di molfetta

 

Il copione che sta seguendo questa crisi non riserva particolari sorprese. Dopo la corsa al ripristino dell’operatività, avvocati e studi legali devono pensare a come garantire la sopravvivenza delle proprie strutture. In questo primo mese di lockdown, la produttività di molte strutture è persino cresciuta. Ma gli incassi hanno cominciato a rallentare drammaticamente.

Inevitabilmente, quindi, lo spettro dei tagli comincia a farsi vedere all’orizzonte. Anche se le strade da poter imboccare sono diverse. E a ogni scelta corrisponde una interpretazione dello scenario che si prospetta nel prossimo futuro.

Molte organizzazioni godono di linee di credito spesso inutilizzate. Aprirsi al debito, tuttavia, è una prospettiva che ha decisamente poco appeal sulla categoria abituata ad autofinanziarsi grazie ad abbondanti flussi di cassa.

Tra gli studi più strutturati, inoltre, non sono pochi quelli che hanno una società attraverso cui, banalmente, viene gestito lo staff e il personale non professionale dell’associazione. Piccole aziende che hanno una riserva che, in casi come questi, può essere utilizzata per far fronte alle esigenze di prima istanza.

Ma se il tempo della crisi comincia ad allungarsi e se a rischio, come pare plausibile, c’è l’intero primo semestre dell’anno, allora la necessità di recuperare risorse per non finire sott’acqua richiede misure più drastiche. Tagli.

 

 

In una situazione così complicata, gli studi legali hanno due alternative. La prima è quella di agire sulle teste. La seconda è quella di agire sui compensi.

La prima ha delle implicazioni non da poco. Mandare a casa una certa quantità di professionisti richiede tempo, impatta fortemente sulla reputazione dello studio, incrina il rapporto fiduciario tra talenti e struttura e soprattutto mette in difficoltà lo studio nel momento in cui la ripresa dovesse partire in tempi non così lontani richiedendo il ricorso a nuove “assunzioni” per fronteggiare il ritorno della domanda.

Anche la seconda, non rappresenta un’alternativa indolore. Indubbiamente, su una categoria privilegiata (qualcuno direbbe viziata) come quella degli avvocati d’affari, l’idea di veder decurtata la retribuzione, ovvero congelata la distribuzione di utili o bonus per aumentare la capacità di resistenza in una fase di così profonda incertezza, rischia di avere un effetto demotivante. Lavorare tanto per guadagnare poco non è una prospettiva allettante. Per nessuno. Eppure, può essere una scelta che indica una fiducia in una ripartenza in tempi relativamente brevi.

La volontà di non lasciare indietro nessuno e la decisione di proporre uno sforzo corale alla struttura, va probabilmente letta come la determinazione a tenere in piedi la struttura nel suo assetto pre-crisi per consentirle di essere pienamente operativa e in grado di competere nel momento in cui questa dannata emergenza sanitaria avrà cominciato a essere ridotta a un semplice ricordo.

È chiaro che in questa seconda prospettiva, al sacrificio richiesto ai collaboratori di ogni fascia e grado, dovrà corrispondere un sacrificio esponenzialmente più elevato da parte degli equity. Questo sarà un accorgimento fondamentale per evitare che la logica del sacrificio non venga interpretata come banale retorica ma diversamente come autentica volontà di resistenza.

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nicola.dimolfetta@lcpublishinggroup.it

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