Avvocati e comunicazione, indietro non si torna
Per il mondo dell’avvocatura, e in particolare per tutti gli operatori del mercato dell’informazione legale, il 2019 si è chiuso con il proverbiale scossone in coda.
La letterina natalizia (la data era del 18 novembre) inviata dal Consiglio distrettuale di disciplina (Cdd) della Corte d’Appello di Milano conteneva infatti un monito e un invito. Il primo sostanzialmente diretto agli avvocati: attenzione a violare le norme del codice deontologico in merito alla comunicazione. In particolare, attenzione alla riservatezza dei dati dei clienti e alle attività pubblic(izz)ate sui social network, specialmente in merito a premi ed awards, magari di dubbia valenza. L’invito, invece, rivolto ai destinatari formali della missiva, gli Ordini provinciali, era di segnalare con solerzia al Cdd tutte le pratiche di marketing e comunicazione potenzialmente lesive dei principi di dignità e decoro della professione legale.
Le reazioni degli addetti ai lavori? Probabilmente riassumibili con parecchie sopracciglia alzate. E tanti punti interrogativi.
LC Publishing, dalla sua posizione di player del mercato della comunicazione legale, ha deciso quindi di agire, nella maniera più semplice e consona alla specifica situazione: parlandone. Anzi, meglio. Mettendo a confronto i vari stakeholder del mercato della comunicazione legale, in maniera pubblica e trasparente, per fare il punto sul futuro e capire se sia effettivamente cambiato qualcosa, o se serva farlo.
Al dibattito organizzato il 28 gennaio scorso da Spazio Chiossetto a Milano, sotto la moderazione del direttore di MAG Nicola Di Molfetta, non poteva quindi mancare il presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano Vinicio Nardo, tra i destinatari “diretti” della lettera del Cdd. Assieme a lui, altre importanti personalità del mondo legal: Giovanni Lega, managing partner di Lca studio legale e presidente di Asla, Gaia Francieri, socia fondatrice di Mopi e head of communication di Chiomenti, Alessandra Ferrari, general counsel di A2A e Aldo Scaringella, founder e managing partner di LC Publishing.
Il punto fondamentale della discussione è semplice: in un mondo della professione legale che si è evoluto molto dal punto di vista comunicativo, è pensabile tornare indietro? Ed è davvero questo l’intento del Cdd ovvero degli Ordini?
Secondo Giovanni Lega, il problema è del tutto anacronistico: «ll codice deontologico forense ha una discrasia teorico-pratica fortissima, superata da consuetudini ormai consolidate da anni». Ed è difficile dargli torto sul punto: basta leggere l’art.35 della legge forense che, tra l’altro, vieta all’avvocato di comunicare i nominativi dei propri assistiti «ancorché questi vi consentano». «Dov’è la violazione del decoro della professione in una simile comunicazione?» si chiede Lega, che propone prima di tutto un approccio de iure condendo, che possa adattare la legge nazionale forense alle moderne esigenze della professione legale, ormai catapultata in un mercato ultracompetitivo. «Oggi gli studi legali sono delle pmi a tutti gli effetti, a cui è già concesso avere soci non avvocati e costituirsi come società di capitali. Competono in un mercato aperto, spesso addirittura con realtà non soggette alla riserva di legge. Come può essere negato finanche l’ingresso nel mercato tramite la comunicazione?», domanda Lega.
Al managing partner di Lca fa eco Gaia Francieri, che spiega quanto possa risultare utile la classica “googlata” per informarsi sul profilo di un professionista: «Se è vero che non è di certo la presenza sul web a fare l’avvocato, la sua totale assenza non può che generare diffidenza nei suoi confronti». Anche perché il distacco dalla comunicazione “classica” degli studi (fatta da siti internet, brochures e uffici stampa inevitabilmente autoreferenziali), secondo Francieri, ha apportato un beneficio in termini di trasparenza: «I social permettono un’interazione e quindi una forma di contraddittorio. E ciò va a tutto vantaggio del cliente, soprattutto quando a essere teatro della comunicazione sono network come LinkedIn, che godono di grande credibilità».
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Alessandra Ferrari apporta la testimonianza di un’azienda come A2A, in qualche modo destinataria e quindi in ultimo fruitrice della comunicazione legale: «Realtà come la nostra quando devono scegliere uno studio con cui collaborare ricorrono a tutti i mezzi d’informazione possibili per identificare la giusta professionalità». Ma, come spiega la general counsel, la cautela sul fronte comunicativo è sempre una buona norma: «Personalmente non apprezzo se uno studio comunica un’operazione in cui la mia azienda è coinvolta senza chiedere il permesso, perché l’errore è sempre dietro l’angolo».
Tocca quindi al presidente Vinicio Nardo il compito di fornire un’interpretazione delle intenzioni del Cdd, e degli effetti che l’azione potrà avere sull’operato dell’Ordine di Milano. Il presidente tiene anzitutto a mettere in chiaro la sua opinione sull’informazione legale: «Il tema mi appassiona molto: credo tantissimo alle nuove frontiere dell’informazione legale, siano esse rappresentate da social network come LinkedIn o Facebook o dalla possibilità di reperire tramite una ricerca su Google le informazioni sulla expertise dei professionisti».
E poi osserva: «La lettera mette a nudo innanzitutto un problema della nuova legge professionale, che ha diviso nettamente il disciplinare dall’amministrativo: gli Ordini sono obbligati a inoltrare alla Cdd qualsiasi esposto, anche anonimo, per quanto inesatto o errato possa essere», spiega, precisando che comunque il contenuto della lettera non rappresenta una novità: «L’impianto normativo e la giurisprudenza del Consiglio sono sempre molto rigidi su questi temi, a partire già dalle norme sul comportamento in udienza degli avvocati. Ma, anche lì, non le ritengo il Vangelo. La libertà di espressione dell’avvocato è per me un estrinsecazione del diritto di difesa del cittadino».
E cosa farà l’Ordine in risposta all’appello del Cdd? Secondo Nardo, quello che ha sempre fatto: «Continueremo ad attivarci su esposti precisi e ben circostanziati, e a dare il nostro parere, senza temere eventuali conflitti, perchè è anche con i conflitti che si cresce».
E la crescita non potrà che partire dall’aggiornamento della disciplina deontologica. «Le norme non possono essere totem immodificabili, soprattutto in un ambito in evoluzione come quello comunicativo. E noi avvocati siamo andati in una direzione che ha teso sempre di più alla tipizzazione dei comportamenti contrari a deontologia, tendenza che si dovrebbe invertire per tornare alle basi, ovvero ai concetti di dignità e di decoro. Concetti più sfumati, che offrono una maggiore discrezionalità all’interprete e che meglio si adattano al genus normativo delle regole deontologiche».
Capitolo premi e awards. Qui Nardo ha qualche dubbio: «Credo che…
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