Alemanno: l’avvocatura è un mestiere, il diritto è un mezzo
Quarant’anni appena compiuti. Alberto Alemanno (nella foto) è l’unico italiano a comparire nell’elenco dei Young global leader 2015 del World economic forum. Anche se, il suo nome è associato alla Francia. Il perché è presto spiegato. Sono anni che Alemanno vive lontano dall’Italia. A Parigi ha cominciato a fare l’avvocato lavorando per Jeantet associés. Poi è partito per il Collegio d’Europa a Bruges, proseguendo i suoi studi che lo hanno portato fino a New York. Ha lavorato alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea come referendario e nel 2009 è diventato un accademico a tempo pieno, in questa grande école parigina che è la Hec, dove insegna diritto europeo. Nel 2013 a questo incarico se ne è aggiunto uno alla New York University dove ha cominciato a sperimentare il metodo della clinica giuridica. Man mano che si scopre il suo curriculum, viene da chiedersi se si senta ancora avvocato. E lui non esita: «Faccio l’avvocato a modo mio».
Ovvero?
Oggi possiamo discutere di cosa voglia dire fare l’avvocato. Per esempio, dal 2009 faccio il consulente giuridico di organizzazioni internazionali come l’Ocse, la Commissione e il Parlamento Europeo o la Organizzazione mondiale della Salute.
Dov’è iscritto?
Sono iscritto al Bar di New York e in Spagna.
E fa anche l’avvocato in senso più tradizionale?
Sì, assisto organizzazioni non governative e non profit come WWF, Transparency International, o Wikimedia. Preparo memorie, pareri e le aiuto a inserirsi nei processi decisionali europei.
Quindi fa lobbying…
Io faccio un’attività di legal lobbying che definisco nell’interesse pubblico. Anziché occuparmi della grande industria, lavoro per il terzo settore. Lo chiamo lobbying for good.
Perché, secondo lei, in Italia c’è così tanta resistenza nella promozione di una figura nuova di avvocato?
Io credo che il problema risieda nella formazione. Io sono un educatore. Cerco di insegnare l’avvocatura come mestiere ma è un principio che passa a fatica. E credo che il problema non riguardi solo l’Italia ma gran parte dell’Europa continentale.
Come lo spiega?
Siamo tradizionalisti. Continuiamo a insegnare il diritto come professione. Per cui, chi fa certi studi pensa di poter diventare solo un avvocato o un notaio o un magistrato. Non insegniamo il diritto come strumento, ovvero come un mezzo.
A chi serve il diritto come mezzo?
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