Alemanno: «Bisogna professionalizzare il pro bono»

È il 2015. Alberto Alemanno (nela foto), professore universitario a Parigi e avvocato di interesse pubblico a Bruxelles, fonda insieme a Lamin Khadar, pro bono associate di Dla Piper, The Good Lobby. Un’organizzazione senza scopo di lucro, gestita interamente da volontari, che punta a promuovere l’impegno etico dei professionisti. «La prima advocacy skill sharing community – spiega a MAG Alberto Alemanno – che fa benevolato delle competenze utilizzando il pro bono con l’ambizione di rafforzare la voce della società civile». L’imperativo è recuperare l’ideale di giustizia. Ricondurlo ai bisogni della società. Invertire il paradosso della modernità per cui la ricchezza aumenta solo per una piccola fetta della popolazione mondiale.

The Good Lobby è anzitutto una clearing house, una struttura che agisce da ponte tra le organizzazioni non governative e i professionisti che offrono assistenza legale e di advocacy su base gratuita. Ma è anche qualcosa in più. Opera in prima persona e conduce progetti specifici per sensibilizzare, formare e motivare i diversi portatori di interesse. Tra gli altri, le masterclass: mezze giornate in cui organizzazioni non governative, studi legali e direzioni giuridiche di imprese si incontrano e imparano a interagire; gli awards, per celebrare i casi di successo; e la advocacy school per insegnare ai giovani ad acquisire una voce nel processo decisionale.

L’organizzazione, che ha lavorato dietro le quinte nei suoi due primi anni di vita è pronta a debuttare e presentarsi al pubblico. “Abbiamo preferito testare la metodologia e vedere dove potevamo arrivare. Ma adesso siamo pronti”, motiva Alberto Alemanno. L’evento di lancio, che si terrà il 22 giugno a Bruxelles, ha ricevuto il patrocinio del Parlamento europeo. “La mediatrice europea Emily O’Reilly darà il benvenuto e spiegherà perché il pro bono svolge un ruolo importante nelle società moderne”, continua Alemanno.

Avvocato Alemanno, perché è così importante fare pro bono?
Perché i professionisti hanno il dovere morale di contribuire alla sfera pubblica restituendo i privilegi che derivano dalla loro posizione sociale ed economica. Gli studi psicologici sulla felicità dimostrano che il benessere non è dato né nel denaro, né nello status raggiunto in società. Ci sentiamo soddisfatti quando ci sentiamo parte di una comunità, quartiere, città, regione o Paese che sia, contribuendo al suo benessere. Quando possiamo restituire quello che abbiamo ricevuto. Poi vi sono delle ragioni strumentali. Tra cui la necessità per gli studi legali di attrarre e trattenere i collaboratori. Alcuni clienti scelgono di affidarsi alle consulenze di una firm rispetto a un’altra per l’impegno in società che dimostra e i valori che ha.

Perché avete deciso di fondare The Good Lobby?
L’ideale di giustizia sta alla base della professione forense e deve tornare ad animarla. Si è avvocati anzitutto per garantire giustizia anche ai più deboli e disagiati e, oggigiorno, per dare una voce a chi non ce l’ha. Tuttavia, non si è mai creata una vera cultura pro bono che prescinda e si stacchi concettualmente dagli obblighi del gratuito patrocinio. Purtroppo, storicamente gli studi, compresi i più grandi, non hanno mai istituzionalizzato la propria assistenza pro bono.

Cosa intende?
Per esempio, avvocati corporate hanno assistito rifugiati per le richieste di asilo. È una cosa bellissima, ma non tiene conto della specializzazione del legale o dello studio. Il nostro obiettivo è duplice. Anzitutto, “professionalizzare” il pro bono: dare agli studi progetti vicini alle aree di specializzazione dei propri avvocati. In secondo luogo, stabilire delle relazioni permanenti tra i beneficiari dei servizi e i giuristi. Come accade coi clienti, insomma. Questo per uscire dalla logica degli episodi singoli in cui si aiuta qualcuno, ma non si va al di là.

Ci spiega come funziona la vostra organizzazione?
Siamo una squadra di dieci volontari che gestisce la comunità sotto il coordinamento dei fondatori e con il supporto di due professionisti che lavorano a tempo pieno dall’ufficio di Bruxelles. A oggi disponiamo di una banca dati di 350 volontari, per lo più avvocati di studi legali internazionali, ma anche giuristi di impresa e altri professionisti che lavorano nelle aziende e universitari. A loro, assegniamo le pratiche e offriamo formazione.

Come riuscite a finanziare tutte le vostre iniziative?

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