Vermiglio (Aiga): La giovane avvocatura deve guardare avanti

Una professione che cambia. E un’evoluzione che va governata. MAG ne ha parlato con Alberto Vermiglio (nella foto), classe 1979, messinese, dallo scorso ottobre presidente dell’Aiga l’associazione dei giovani avvocati italiani.

In questa intervista, il numero uno dell’associazione attacca la «finta libera concorrenza» che ha messo in ginocchio la categoria, invoca «il ripristino dei minimi inderogabili», ma allo stesso tempo esorta i giovani avvocati ad aprirsi all’esterno e indica negli studi associati il «futuro naturale» del mercato dei servizi legali. Un settore che non deve abbandonare i giovani ma che deve riuscire a tornare capace di entusiasmarli magari partendo proprio dall’Università.

Vermiglio dimostra una visone ampia e complessa della realtà e non nasconde l’auspicio che il nuovo governo, in cui allignano 5 avvocati, torni ad ascoltare con attenzione il «mondo della politica forense che spesso è stata ignorata per dar sponda ai rappresentanti dell’economia». 

Presidente Vermiglio, i recenti dati sui redditi degli avvocati evidenziano la difficoltà che i giovani avvocati devono fare per riuscire a stare sul mercato. Non è una novità. Ma le chiedo: quali sono le azioni che secondo lei vanno intraprese per invertire la rotta?
I dati sono meno allarmanti di quello che appaiono. I numeri della categoria ormai si sono stabilizzati e l’avvocatura, soprattutto quella giovane, deve guardare avanti e non voltarsi indietro.

Ma come si inverte la rotta?
La rotta si inverte innanzitutto garantendo la dignità di una professione che una “finta” libera concorrenza ha messo in ginocchio. La corsa al ribasso di alcune prestazioni professionali forensi ha portato proprio a giovani a credere che questo fosse l’unico metodo per raggiungere un minimo ristoro economico.

E invece?
Il tempo ha detto che l’obiettivo è esattamente il contrario e il ripristino di minimi inderogabili mi pare la strada più consona, visti gli ultimi passaggi in materia.

Nelle scorse settimane Aiga è tornata a parlare dell’avvocato internazionale nel suo congresso di Trieste. Ma il Censis ci racconta una categoria ancora molto legata al territorio. Cosa ostacola l’apertura internazionale degli avvocati?
Gli studi professionali sono strutturati per esigenze del territorio e poco ancora aperti all’esterno, laddove però vi sono le maggiori occasioni per una nuova utenza che potrebbe poi divenire clientela per il professionista. Come giovani abbiamo sentito la necessità di chiarire dove vediamo il nostro futuro e verso cosa intendiamo indirizzare i nostri sforzi per il miglioramento della condizione di una classe forense ancora ricca di tanta voglia di emergere.

Bisogna che gli avvocati amplino i propri orizzonti?
Gli avvocati, per esempio, devono accettare che il “giudiziale” non è più lo sbocco naturale del giurista che deve tendere verso soluzioni alternative delle controversie che, se legate a sgravi fiscali, potranno generare risparmi per lo Stato e guadagni per utenti e professionisti.

La categoria è ancora senza una disciplina delle specializzazioni: a suo parere approvare il regolamento è una priorità?
Prima di approvare il regolamento l’avvocatura deve misurarsi per chiarire a cosa saranno utili le “specializzazioni”. Aiga da sempre è favorevole ad un sistema che specializzi la formazione dell’avvocato, che non può essere solo quella generalista. 

Ma…
Ma i giovani hanno bisogno di avvertire tangibile l’utilità di un percorso che richiede tempo e costi piuttosto elevati per chi ancora non ha spiccato il volo, almeno a livello economico.

C’è chi vuole il riconoscimento della figura dell’avvocato dipendente. Secondo lei è una battaglia che va combattuta? Come e con quali obiettivi?
È una battaglia che va…

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