Rinnovabili, un mercato senza incentivi è possibile
«Noi non ci siamo mai fermati e non abbiamo mai smesso di occuparci di energie rinnovabili». Eugenio Tranchino (nella foto), dal 2002, rappresenta Watson Farley Williams in Italia. All’epoca aveva appena 30 anni e arrivava dalle fila dello studio Carnelutti. Ma alle spalle aveva già diverse esperienze tra cui alcune, fondamentali per la maturazione del suo profilo internazionale: a Parigi, dove ha lavorato per lo studio Lovell White Durrant (successivamente diventato Hogan Lovells) e in Italia dove è stato anche nel team di Baker & McKenzie.
Roma è stata il primo avamposto in Europa continentale di Watson Farley Williams (law firm di matrice inglese nata nel 1982) che, cinque anni più tardi ha aperto anche a Milano.
L’approccio al mercato italiano si è focalizzato sin da subito sullo sviluppo di competenze da full service firm applicate a comparti ben definiti: energy e shipping, in modo particolare. Il tutto, ben prima che l’organizzazione per industries degli studi legali diventasse una moda. E l’obiettvo per il prossimo futuro, dice Tranchino a MAG, è «capitalizzare il riconoscimento sul mercato nei settori “core” per sviluppare aree limitrofe come l’export finance, il real estate, il private equity».
Oggi, in Italia, dove la law firm conta su ricavi stimabili attorno ai 7 milioni, Watson Farley Williams ha 25 professionisti tra cui 6 soci. Oltre a Tranchino ci sono Furio Samela, punto di riferimento per lo shipping, Tiziana Manenti attiva sul fronte m&a, Elvezio Santarelli, attivo sul pronte dispute resolution, Pierpaolo Mastromarini e Mario d’Ovidio che si occupano di banking & finance.
L’energy rappresenta all’incirca il 60% dell’attività italiana dello studio. Ed è proprio di energia che Tranchino ha voglia di parlare. Il motivo è semplice: siamo all’inizio di una nuova era per il settore. Un’era legata alle rinnovabili che, a differenza di ciò che molti pensano, non sono finite con il tramonto della stagione degli incentivi.
La crisi che il settore ha affrontato in seguito al mutamento dello scenario normativo ha provocato un processo di selezione naturale tra gli operatori e tra i consulenti. Oggi si parla di grid parity. E la frontiera è rappresentata da un mercato capace di reggersi sulle proprie gambe.
Avvocato Tranchino, chi pensava che il business delle rinnovabili si fosse esaurito si sbagliava. Ci vuole spiegare perché?
Il cambiamento delle fonti di produzione di energia elettrica da fonti fossili a rinnovabili è un cambiamento epocale e inarrestabile, simile, per certi versi, a quello delle telecomunicazioni degli anni 90.
Per esempio?
Tutti oggi guardano alle auto elettriche come Tesla con interesse e curiosità, ma nessuno si pone la domanda del come cambierà il mercato dell’auto dove il venditore del veicolo sarà anche quello che ne avrà il monopolio sull’approvvigionamento di carburante. I target che i Paesi industrializzati si pongono fanno sì che il fenomeno sia inarrestabile e quindi duraturo nel tempo. In Norvegia ad esempio si prevede che la mobilità sarà totalmente elettrica e generata da fonti rinnovabili già a partire dal 2021.
Possiamo dire che il mercato si è evoluto. Ora si parla di grid parity: cosa s’intende?
Per grid parity o market parity si intende la sostenibilità degli investimenti privati a prescindere da incentivi da parte del sistema. Pertanto siamo in nuova epoca che sino a pochi anni fa era inimmaginabile per le cosiddette fonti non programmabili. Oggi infatti si possono costruire impianti il cui modello di investimento si basa solo sul corrispettivo proveniente dalla cessione di energia elettrica in un contesto di mercato “puro” e senza interventi a sostegno da parte di terzi.
Fino a poco tempo fa sembrava che senza incentivi il settore non potesse stare in piedi. Cosa è cambiato?
Il crollo dei prezzi delle materie prime, sui cui sono intervenuti anche fattori di svalutazione monetaria, ha fatto sì che il costo di costruzione si sia progressivamente ridotto fino a rendere attraenti gli investimenti senza alcuna forma di incentivo. Per darle un esempio, un megawatt di fotovoltaico nel 2006 costava 6 milioni di euro mentre oggi circa 800mila.
Come cambia la contrattualistica in questo nuovo scenario?
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